Il recupero dello stabile di viale Moncada 3 è stato interrotto, lo scorso febbraio, dopo il ritrovamento di alcune bombe e di un fucile. I materiali pericolosi, tra cui una granata della seconda guerra mondiale, erano in una busta e rischiavano di essere lanciati dall'edificio, probabilmente provocando una deflagrazione
Palazzo di cemento, sette ordigni esplosivi ai piani alti Lavori bloccati. Polizia: «Sarebbero potuti scoppiare»
I lavori di restauro del famigerato palazzo di cemento di Librino, tra le più famose centrali dello spaccio di stupefacenti, adesso sono in corso. E non è successo nulla di grave. Ma se uno degli operai della ditta che frequenta l’immenso cantiere ogni giorno non si fosse accorto di una strana busta di plastica al centro di una stanza del nono piano, racconteremmo una storia diversa. Quella di una esplosione di entità non indifferente perché dentro all’involucro, buttato insieme ad altro materiale di risulta e alla spazzatura, a febbraio, la ditta ha trovato «due ordigni potenzialmente pericolosi e un’arma da fuoco», come spiega la polizia. E, in particolare, una bomba a mano della seconda guerra mondiale e sei candelotti artigianali «tra i quali uno ad alto contenuto esplosivo», racconta a MeridioNews il dirigente del commissariato del quartiere satellite, Antonio Migliorisi.
«In due distinti piani, il nono e l’ottavo – spiega il funzionario di polizia – i lavoratori hanno rinvenuto un fucile e un sacchetto della spesa che spiccava tra i rifiuti per la posizione, e per il fatto che fuoriuscivano dei fili elettrici». Un particolare che ha subito preoccupato gli uomini dell’impresa che hanno avvertito la questura. «Abbiamo inviato immediatamente una volante – continua Migliorisi – e, constatato che si trattava presumibilmente di ordigno esplosivo, abbiamo contattato gli artificieri che hanno proceduto allo sgombero dell’edificio e, successivamente, alle operazioni di bonifica e di messa in sicurezza». Una procedura di emergenza, dovuta al potenziale pericolo costituito da «una bomba Breda di fabbricazione italiana, e da sei manufatti di fattura artigianale». «Per prima cosa – spiega ancora – abbiamo proceduto al distacco della bomba a mano prima e siamo intervenuti poi sugli altri involucri». Un intervento che, come chiarisce lo stesso dirigente, ha evitato il peggio. «Chiaramente se l’operaio non si fosse accorto del tutto ci sarebbe potuta essere una vera e propria esplosione, anche perché di solito i materiali di scarto vengono lanciati da un canalone, e l’impatto da quell’altezza avrebbe sicuramente potuto innescarli».
Dopo il primo intervento, l’intero palazzo è stato posto sotto sequestro per 15 giorni, proprio per controllare piano per piano l’eventuale presenza di altri materiali simili. «Alla fine di questo periodo – aggiunge infine Migliorisi – abbiamo svolto un servizio con un’altra unità cinofila che ha accertato l’assenza di ulteriori ordigni». Nonostante non si sia riuscito a risalire ai proprietari delle armi, gli inquirenti ipotizzano che queste ultime sarebbero potute servire per «furti mirati nei bancomat o altri colpi simili – conclude il poliziotto – sarebbero potute servire anche per qualche attentato intimidatorio ma lo escludiamo perché, per esperienza, non abbiamo registrato episodi simili negli ultimi anni».
A parlare dell’episodio e dei dettagli del restauro è anche Salvatore Marra, funzionario che si occupa della programmazione triennale delle opere pubbliche e che ha seguito i lavori per conto del Comune di Catania: «Nonostante questo piccolo incidente le squadre sono subito ripartite e, grazie all’intervento della questura, è stato messo tutto in sicurezza. L’importo assegnato per la realizzazione dell’opera – aggiunge – era di otto milioni e mezzo di euro, abbiamo consegnato i lavori nel novembre dello scorso anno quindi alla fine del 2018 sarà nuovamente agibile». All’interno della struttura, una volta desolato scenario in mano alla malavita, dovrebbero sorgere abitazioni private e, in una parte, spazi per associazioni e uffici comunali. «Abbiamo avuto qualche difficoltà al momento di sgomberarlo – spiega Marra – ma subito dopo la chiusura per interdire l’accesso agli esterni non abbiamo avuto più problemi di sorta né tantomeno mi risulta che l’impresa abbia avuto sollecitazioni esterne particolari. Anche perché è prevedibile che quell’appalto, proprio per la sua storia, sia particolarmente controllato dalle forze di polizia».