È stato tagliato il catenaccio che, due giorni fa, ha impedito l’accesso nel bene confiscato alla mafia lungo la strada statale 74 in contrada Alcovia a Palagonia. Al di là del cancello, ci sono più di cinque ettari di agrumeti con piante cariche di arance e mandarini ancora acerbi, una villetta di campagna con tutti gli arredi in ordine e diversi garage pieni di attrezzi agricoli. E non solo. In uno di questi locali sono accatastate 24 cassette di olive appena raccolte.
Da un decennio, i vecchi proprietari non avrebbero più dovuto metterci piede e, invece, ci sarebbero dei segni della loro presenza. La fornitura di energia elettrica – che è stata disattiva proprio durante il sopralluogo dai tecnici dell’Enel – risultava ancora attiva e intestata a nome di Domenico Piticchio. Il marito di Giovanna Sangiorgi, la sorella dell’ex consigliere provinciale dell’Udc Antonino Sangiorgi, che è stato anche assessore a Palagonia sotto la giunta del sindaco Fausto Fagone. Secondo i giudici, sarebbe stato proprio Sangiorgi – che è stato condannato definitivamente a cinque anni e quattro mesi nell’inchiesta Iblis della Dda di Catania che ha messo sullo stesso piano mafia, politica e mondo imprenditoriale – il vero proprietario del bene.
«Finalmente siamo riusciti a entrare e a effettuare il sopralluogo in questo bene», dice a MeridioNews Matteo Iannitti de I siciliani giovani, che insieme all’Arci e all’Asaec si occupa, da tempo, delle criticità e delle anomalie venute fuori su diversi beni confiscati nella provincia etnea. «Il curatore dall’Agenzia nazionale per l’amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata Angelo Bonomo ha mantenuto l’impegno», aggiunge l’attivista. Adesso, però, con il nuovo catenaccio al cancello resta comunque un problema di sorveglianza. «I carabinieri ci hanno detto che non possono garantire una sorveglianza 24 ore su 24 – spiegano gli attivisti – Si potrebbe, però, pensare a delle telecamere per evitare che il bene venga vandalizzato e distrutto».
Un agrumeto di più di cinque ettari in parte anche curato di recente (nei tronchi degli alberi, infatti, è ancora fresca la calce bianca), una piscina con dell’acqua ristagnante. Entrando nella casa di campagna si vede che non è abitata ma è, comunque, in ottimo stato. Letti rifatti perfettamente con quadri di santi al capezzale, cornici con foto di famiglia, una scopa e uno mocio accanto al piano cottura della cucina. Alcune stanze, invece, sembrano essere state trasformate in sgabuzzini: scatoloni pieni di oggetti, peluche ammonticchiati sul pavimento e perfino due manichini. Davanti alla casa del custode c’è anche una brace da giardino con il carbone. In uno dei garage ci sono poi 24 cassette di olive appena raccolte (che potrebbero fare ottenere circa 50 litri di olio) che adesso rischierebbero di andare a male. «Abbiamo già fatto richiesta all’Agenzia dei beni confiscati – dice Dario Pruiti dell’Arci – per potere essere noi a occuparci della loro lavorazione».
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