Claudio Pappalardo racconta a MeridioNews la storia che lo ha visto vittima, almeno per dieci anni, delle estorsioni del clan Puglisi-Mazzaglia. Convocato dagli inquirenti che stavano già indagando, ha deciso di raccontare tutto. «Prima mi sentivo isolato»
«Pagavo mille euro di pizzo, poi ho deciso di parlare» Il farmacista di Mascalucia rompe il muro di omertà
«Pagavo mille euro l’anno». Claudio Pappalardo, titolare della storica farmacia di via Etnea di Mascalucia, rompe il clima di assoluto silenzio e decide di raccontare a MeridioNews la storia che lo ha visto vittima delle estorsioni perpetrate dal clan Puglisi-Mazzaglia. Passano gli anni e dal più rigido «sacciu unni stai, sacciu cu su i to figghi» si passava al classico «hai bisogno? Cercati un amico». «Cambiano le parole ma il significato è sempre lo stesso: devi pagare il pizzo», dice il farmacista a MeridioNews.
Pappalardo mette insieme i retroscena di un paese in ginocchio di fronte alla mafia. «Anche Mascalucia non è immune da una certa mafiosità culturale intrinseca – analizza il farmacista – Addirittura c’è chi, con modi spocchiosi, vanta di avere certe amicizie, tra questi ci sono anche alcuni esponenti della politica». Ma perché ha deciso solo oggi di esporsi pubblicamente? «Prima mi sentivo del tutto isolato», risponde Pappalardo che, nel 2013 è stato anche candidato a sindaco di Mascalucia con il supporto del Partito democratico.
Da mesi il territorio della cittadina pedemontana è finito sotto la lente di ingrandimento della procura di Catania: prima con l’operazione Overtrade, poi con quella ribattezzata Malupassu. Inchieste che hanno svelato anche l’interessamento dei boss per alcuni terreni agricoli destinati a diventare zone commerciali e la presenza di alcuni presunti insider all’interno del Comune. Circostanza che, nei giorni scorsi, ha spinto il senato cittadino ad approvare una mozione di indirizzo con cui si propone la sospensione dell’iter di adozione del Piano regolatore generale (Prg) e la rotazione dei dirigenti comunali.
Dalle carte dell’inchiesta, però, emerge anche il ritratto di un paese avvolto da una cappa di omertà e, in alcuni casi, di complicità delle vittime del pizzo. Per alcune di queste, infatti, è scattata l’accusa di favoreggiamento. «Troppo spesso chi paga il pizzo nega – continua Pappalardo – Io, adesso che mi sento protetto, non ho nessun motivo per tacere la realtà dei fatti». Sì, perché dal dicembre del 2017 il farmacista smette di versare la quota estorsiva. Un periodo in cui gli inquirenti, che sono già nel pieno delle indagini, lo convocano. A quel punto, lui decide di parlare e raccontare tutto sulle richieste che riceveva da almeno dieci anni. «Di lì a poco, da me – sostiene Pappalardo – si presenta una persona insospettabile: prima mi chiede se avessi parlato con i carabinieri, poi cerca di convincermi a non dire nulla».
Non sempre però la riscossione sarebbe andata come previsto. Particolarmente significativo è l’episodio avvenuto in occasione dell’ultima estorsione ai danni di Pappalardo: tra Antonio Carciotto e Giuseppe e Salvatore Puglisi (tutti e tre arrestati nell’ambito dell’operazione Malupassu) nasce una disputa su chi avrebbe dovuto riscuotere la cifra. Dalle parole ai fatti il passo è breve. «Si sono acchiappati qua davanti alla mia farmacia», racconta Pappalardo. Alla base della lite ci sono i soldi. «È venuto Carciotto e mi ha detto: “Me lo dà un anticipo?” – racconta il farmacista – Io avevo convenuto con loro una quota di mille euro ma, in quel momento, avrei potuto versare solo 300 euro». Saputo della riscossione, Giuseppe Puglisi avrebbe rimproverato Carciotto per essersi appropriato della somma all’insaputa degli altri appartenenti al gruppo.