Due ordigni esplosi davanti al suo negozio di ricambi auto e un’auto bruciata. Ma non solo. L’ordine era quello di uccidere. Dietro l’incubo che ha vissuto per mesi Giuseppe Boager, commerciante di Pachino, ci sarebbe il fratello 54enne Renato. Quest’ultimo, dal carcere dove era già detenuto, aveva deciso di punire il suo parente, per cercare di condizionarne la testimonianza in un processo. Oggi la polizia di Pachino, guidata dalla dirigente Antonietta Malandrino, ha portato all’esecuzione di cinque misure cautelari: oltre a Renato Boager, detenuto a Cosenza, finiscono in carcere Antonio Piazzese, 41 anni e già ai domiciliari per altra causa, Corrado Caruso, 43 anni e detenuto nel carcere siracusano di Cavadonna, Maria Caruso, 57 anni e Cristian Rubbera, 28 anni. Gli ultimi quattro tutti originari di Rosolini.
Stando a quanto ricostruito dalle indagini coordinate dal Procuratore della Repubblica Fabio Scavone e dirette dal sostituto procuratore della Gaetano Bono, un primo ordigno viene piazzato davanti alla carrozzeria di Giuseppe Boager il 16 ottobre ma non esplode per un difetto di innesco, il secondo invece deflagra il 14 novembre provocando numerosi danni. Tra i due episodi c’è anche l’incendio della macchina, una Fiat Panda, per cui pochi giorni dopo vengono arrestati Maicol Zisa e Salvatore Cianchino, considerati esecutori materiali. Invece a piazzare gli ordigni sarebbero stati Piazzese e Rubbera. Ma l’ordine sarebbe partito dal carcere, e cioè da Renato Boager, che avrebbe così voluto intimidire il fratello.
Quest’ultimo doveva infatti testimoniare in un processo che ha al centro un altro episodio di famiglia. Renato Boager infatti in quel momento era imputato per il pestaggio a colpi di mazza da baseball del cognato (il marito della sorella), avvenuto a ottobre del 2017. Un’aggressione per cui Damiano Rizza è stato riconosciuto come esecutore materiale e Renato Boager ancora una volta il mandante: in questo caso avrebbe agito perché ambiva a ottenere i risparmi della madre e, quando ha scoperto che nel libretto di risparmio c’era poco o nulla, ha iniziato a pretendere i soldi dai fratelli, diventando per loro un vero e proprio incubo. Tanto che, intercettato mentre parlava con amici fidati, Renato Boager «commentava con sadico piacere il fatto che i propri parenti, al suo cospetto nell’aula del Tribunale, risultavano terrorizzati per gli attentati subìti proprio in prossimità delle udienze». Tuttavia le intimidazioni non sono servite a niente e per questa vicenda a gennaio 2019 l’uomo è stato condannato a cinque anni e tre mesi.
Ma Boager non si sarebbe limitato agli ordigni. Dopo la condanna, avrebbe voluto uccidere il fratello, così avrebbe messo a disposizione 3.500 euro per gambizzarlo e 20mila per ucciderlo, trovando nel compagno di carcere Corrado Caruso uno pronto a eseguire il piano. Per comunicare con l’esterno, Caruso si sarebbe avvalso della collaborazione della compagna Maria Caruso, che sarebbe riuscita a consegnare all’uomo durante i colloqui anche una sim telefonica intestata al figlio defunto, cercando quindi di eludere eventuali intercettazioni. Per il lavoro sporco la donna si sarebbe poi avvalsa del figlio Rubbera e di Piazzese, definito dagli investigatori «un suo pusher tuttofare».
È dall’intercettazione dei dialoghi tra la donna e il compagno rinchiuso in carcere che emerge il piano omicidiario a danno di Giuseppe Boager: «Dice Renato – spiega Corrado Caruso alla donna – se quello se la sente… gli dà 3.500 euro se è capace di tiragli a sparargli nelle gambe. Addirittura se arriva che… (e si fa il segno della croce, annotano gli investigatori) 20mila gliene dà. Io gliel’ho detto, conservateli i 20mila che quando esco te lo ammazzo io. Me li dà a me questi 20mila euro».
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