Il fratello del giudice antimafia ucciso nella strage di via D'Amelio getta acqua sul fuoco. «Non parlerei di una minaccia quanto piuttosto di uno sfregio. E non sono certo nemmeno che fosse rivolto a me. Se avessero voluto colpirmi lo avrebbero fatto alla Kalsa. Nel codice di Cosa nostra i luoghi hanno un significato». Poi la stoccata al Comune. «Poca attenzione per i luoghi della memoria»
Pacco con sterco davanti casa a Mondello Salvatore Borsellino: «Nessuna intimidazione»
Getta acqua sul fuoco. Salvatore Borsellino, fratello di Paolo, il giudice ucciso dal tritolo di Cosa nostra il 19 luglio del 1992 nella strage di via D’Amelio, non crede all’ipotesi intimidazione. Il 9 agosto scorso, ma la notizia è trapelata solo ieri, qualcuno ha lasciato un pacco davanti all’ingresso della casa al mare, a Mondello, borgata marinara di Palermo. Immediato è scattato il dispositivo di sicurezza con l’intervento degli artificieri, che hanno fatto brillare il pacco con una microcarica. All’interno, c’era dello sterco. Nessuna bomba. La Polizia, comunque, indaga su un episodio dai contorni inquietanti. Che arriva pochi giorni prima dell’assegnazione della scorta a Lucia Borsellino, assessore regionale alla Salute dimissionaria e nipote di Salvatore. Una fonte dell’Interpol in Germania avrebbe riferito dei rischi corsi dalla figlia del giudice antimafia e il Viminale ha così deciso che a proteggerla saranno due uomini armati e un’auto blindata.
«Avrei preferito che questa notizia non venisse divulgata – dice Salvatore Borsellino a MeridioNews – per evitare che venisse accostata alle minacce veramente serie che riguardano Lucia e su cui occorre fare massima attenzione». Ma per il fondatore delle Agende Rosse, quel pacco lasciato sotto casa a Mondello non è un’intimidazione. «Non parlerei di una minaccia quanto piuttosto di uno sfregio. E non sono certo nemmeno che fosse rivolto a me. Solo i miei amici sanno di questa casa a Mondello, dove io trascorro pochissimo tempo. Nel palazzo, poi, vivono altre cinque famiglie, alcune delle quali hanno delle attività commerciali proprio nella borgata». Magari, è la teoria di Salvatore Borsellino, è qualcuno degli altri condomini il bersaglio del gesto.
Insomma il pacco contenente sterco e lasciato a Mondello «non è nulla di serio e sono certo che non fosse rivolto a me. Nè può essere messo in relazione con le minacce rivolte a Lucia, perché si rischierebbe di sminuire un fatto, quello sì grave, che coinvolge mia nipote».
«Intorno alle sei meno un quarto dello scorso 9 agosto – racconta – qualcuno ha suonato a tutti i citofoni dello stabile. Tra l’altro io non ho sentito il citofono e mi ha avvisato una vicina, a quel punto sono sceso e ho trovato il pacco davanti l’ingresso. Ho chiamato la Polizia e dopo un paio d’ore sono arrivati anche gli artificieri che lo hanno fatto brillare, scoprendo che all’interno era contenuto dello sterco. Se avessero voluto indirizzare a me il “messaggio” sarebbe stato più corretto, secondo le dinamiche e le regole di Cosa nostra, lasciare il pacco alla Kalsa». In via Vetriera, nei locali della farmacia di famiglia, il fratello del giudice antimafia ha avviato un progetto: “una bottega di informatica” destinata ai giovani del quartiere, «un modo per indicare loro un’alternativa alla spirale di illegalità e criminalità».
«Se avessero voluto minacciarmi o farmi uno sfregio avrebbero dovuto colpirmi lì, dove trascorro la maggior parte delle mie giornate – dice ancora Borsellino -. Nel codice di Cosa nostra anche i luoghi hanno un significato preciso, se il progetto della Kalsa avesse dato fastidio a qualcuno avrebbero mandato il pacco lì e non a Mondello, che, tra l’altro, fa parte di un altro mandamento». Senza contare, assicura, che nel quartiere «abbiamo ottime relazioni con tutti, l’accoglienza è stata positiva e tante famiglie mi hanno contattato per poter iscrivere i propri figli a questi corsi di informatica».
Un’attenzione che, invece, denuncia Borsellino è mancata da parte del Comune. «Abbiamo inaugurato il 17 luglio scorso la “casa di Paolo” grazie ai contributi dei sostenitori e senza chiedere un centesimo all’Amministrazione comunale, che potrebbe, però, risistemare il basolato sconnesso della via. Appena piove si formano grandi pozzanghere con il risultato che ad ogni passaggio di auto, l’acqua entra nei locali. Un’immagine non decorosa per un posto visitato da decine di turisti».
Qualche giorno fa Rita Dalla Chiesa, figlia del generale Carlo Alberto, a Facebook ha consegnato il suo sfogo. «La lapide di papà in via Carini è abbandonata» ha scritto, postando l’immagine di una fioriera che l’incuria ha trasformato in un pattumiera improvvisata. Il Comune è corso subito ai ripari, ripulendo la zona. «I palermitani, forse perché di stragi e di morti ne hanno visto troppi, tendono a rimuovere il ricordo di uomini che sono patrimonio dell’intero Paese. L’Amministrazione comunale, però, dovrebbe prestare un’attenzione maggiore a questi luoghi della memoria, luoghi sacri, la cui cura non può essere affidata solo ai familiari delle vittime. Le immagini di abbandono e degrado di questi posti sono un danno per questa città».