Ventisette associazioni e molti cittadini hanno firmato per chiedere al sindaco di Catania Salvo Pogliese di revocare l’ordinanza 89 del 4 luglio scorso. Soprattutto nel punto in cui prevede «il divieto di bivaccare specie nelle aree del centro cittadino, anche per l’intera notte, all’aperto, con sedute e ricoveri di fortuna utilizzando oggetti di varia natura, come cartoni, coperte, scatoloni, materassi». Per chi viola l’ordinanza multe che vanno da 50 a 300 euro. «Anche se – dicono dalle realtà locali – è stato già affermato pubblicamente che il vigile non farà le multe a chi non può permettersi di pagare».
«Questa ordinanza non fa che ribaltare la realtà – denuncia Valeria Gallitto del Cope (Cooperazione Paesi Emergenti) – vietando e criminalizzando una categoria sociale, i senza fissa dimora». Un disagio sociale al quale le organizzazioni del territorio cercano di approcciarsi da anni cercando di andare «oltre le apparenze». «Non possiamo accettare che si usi un linguaggio violento e inappropriato – prosegue Gallitto – come quello del documento nel quale manca il riconoscimento del vero problema. Come si può dire che un senzatetto “bivacca”, specie nel periodo invernale?». Uno dei termini su cui maggiormente si è concentrata l’attenzione delle associazioni è «emergenza: il classico modo per risolvere in modo coercitivo e alla meno peggio questioni delicate». Insomma, per le realtà catanesi riunite l’ordinanza non è uno strumento idoneo, né nelle parole né nei fatti. «Non è spostando le persone da una strada a un’altra che si ripristina il decoro in città», lamentano.
La rete di realtà locali, ancora in fase embrionale, è nata «dopo un primo momento di disorientamento sulla vicenda Aquarius, per le esternazioni razzifasciste del ministro degli Interni Matteo Salvini e per il dilagante clima di odio, razzismo e disumanità che sta avvelenando la nostra società». Così hanno spiegato, questa mattina nella sede catanese di Libera, alcuni rappresentanti delle associazioni. «Dopo l’indignazione e la solidarietà nate all’indomani delle grandi stragi dei migranti nel Mediterraneo nel 2013 e della pubblicazione della foto simbolo di Aylan, il bambino siriano morto sulla costa turca, il 2018 è la data che segna invece la guerra agli immigrati, il risveglio della xenofobia e del razzismo, l’attacco indiscriminato alle Ong e ai volontari».
Confini che diventano barriere, muri alzati e porti chiusi. «A Catania il sindaco Pogliese – afferma Marco Martina di Emergency – sta facendo la stessa operazione dei Paesi europei che, guidati dal cinismo, pensano solo a decentrare la questione dell’immigrazione lasciandola ai territori di primo sbarco che, spesso, reagiscono tentando di rispedire i migranti al mittente. Qui il ragionamento è simile – aggiunge – perché si sta tentando solo di liberare la vetrina del centro della città mettendo la polvere sotto il tappeto».
Sono circa 23mila le persone che a Catania vivono in condizioni di povertà assoluta. «E quasi un centinaio le persone che vivono per strada e che certamente non hanno piacere a mostrarsi “indecorosi” di fronte ai turisti. Partendo da questo dato – dice il referente di Libera Giuseppe Vinci – l’unico modo per affrontare anche la questione sicurezza è partire da politiche di inclusione che rispettino la dignità e l’umanità di tutte le persone, italiane e straniere. Spostarle come oggetti da una parte all’altra non farebbe che sottolineare il segno della cicatrice che spacca la città in due». Insieme, le associazioni chiedono che venga revocata l’ordinanza richiamando anche i principi della dichiarazione dei diritti umani e la Costituzione.
Dopo le prime polemiche sull’ordinanza, il primo cittadino aveva incontrato a Palazzo degli elefanti una cinquantina di componenti di associazioni di volontariato che operano con i clochard. Annunciando che sei beni confiscati alle mafie andranno a tamponare l’emergenza abitativa per circa 40 persone. «Non è sufficiente, serve piuttosto creare altri centri di accoglienza attrezzati e fruibili per tutti i senza fissa dimora – rispondono dalle associazioni – tenendo anche conto del fatto che alcuni sono anche affetti da problemi psicologici e hanno necessità di assistenza». Altra misura concreta a cui stanno pensando le associazioni è quella di ripristinare le docce pubbliche un tempo attive in alcune zone della città (piazza Borgo, piazza Santa Maria di Gesù). «Il cammino è ma lungo – concludono – ma abbiamo il dovere di intraprenderlo».
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