Omicidio Salamone, arrestato l’’amante Indagini sviate da «medico incompetente»

«Certi eventi, che possono sembrare frutto di superficialità, sono spesso fisiologici. Non c’è stato nessun complotto». Sembra essere stato l’errore di un «medico poco competente al momento dei rilievi» a falsare le indagini da parte della procura della Repubblica di Catania sul caso di Valentina Salamone, inizialmente archiviato come suicidio. E per questo, spiega Salvatore Scalia, avvocato generale della Corte d’Appello di Catania, la Procura generale ha avocato a sé le indagini. Quanto emerso dal lavoro dell’ufficio retto da Giovanni Tinebra – assente dalla conferenza stampa di oggi pomeriggio per lutto – frutto del coordinameno del sostituto procuratore generale Sabrina Gambinio, che si è avvalsa dei Carabinieri di Catania e dei Ris di Messina, ha invece dimostrato in maniera incontrovertibile che si è trattato di omicidio: Valentina è morta per impiccagione, ma non fu lei a piazzare la corda.

Nicola Mancuso

Responsabile della tragica fine della ragazza, quel pomeriggio del 24 luglio 2010 in una villa in cui la ragazza era da tempo ospite ad Adrano, sembrerebbe quindi essere l’amante Nicola Mancuso, trentenne sposato e con figli, che avrebbe agito con l’aiuto di uno o più complici, non ancora identificati. Per evitare di compromettere la sua vita coniugale, avrebbe deciso di rompere in maniera estrema la relazione con Valentina. A incastrare l’uomo, arrestato la scorsa notte e recluso nel carcere di Piazza Lanzal’analisi del dna: il suo sangue è stato infatti ritrovato sulle scarpe di Valentina, intrise anche del sangue della ragazza diciannovenne di Biancavilla.

«Secondo quanto emerso, la ferita al piede della ragazza, un’unghia saltata da cui è fuoriuscito molto sangue, non è compatibile con l’ipotesi di suicidio», ha spiegato Scalia. L’ipotesi è quindi che la ferita al piede, e l’eventuale ferita dell’aggressore, siano «coeve». Per chiarire questo e altri dettagli, quale «la presenza di Mancuso nelle vicinanze della villa, dove aveva anche lasciato il suo automezzo, contrariamente a quanto dichiarato», si attende l’interrogatorio di garanzia che avrà luogo nei prossimi giorni. «Finora Mancuso è stato sentito solo come persona informata sui fatti», precisa Scalia nel suo ruolo di vice Procuratore generale, non fornendo altre informazioni di dettaglio sul caso «per il quale le indagini sono ancora in corso, avendo il Gip dato un tempo di cinque mesi a partire da novembre 2012, un tempo sul quale potremmo anche chiedere una proroga». Poi dedica, su richiesta dei numerosi giornalisti presenti, ampio spazio alla questione procedurale dell’avocazione.

«Si tratta di un istituto giuridico poco utilizzato dagli stessi avvocati, che credono in qualche modo di fare “torto” ai magistrati della procura», spiega Scalia. La scena del crimine presentava del resto un quadro che era, a una prima osservazione, «compatibile con il suicidio: la porta era chiusa dall’interno e non c’erano segni di colluttazione né di trascinamento sul corpo della ragazza». Ma le prove effettuate dai carabinieri con l’ausilio di una volontaria «dalla statura e corporatura simili a quelli di Valentina, che non avrebbe potuto piazzare da sola la corda», e altri segni, come una traccia di sangue sulla canottiera della ragazza o gli ematomi sul collo che evidenziano un tentativo di liberarsi dal cappio, hanno portato all’avocazione. «Certi dettagli non sono subito emersi a causa dell’inesperienza del medico generico chiamato a fare i rilievi sul luogo: purtroppo nelle periferie urbane è difficile trovare dei medici legali», afferma Scalia, giustificando il lavoro svolto dalla Procura di Catania. Indagini riaperte la scorsa estate, a quasi due anni dall’omicidio, «grazie alle attività di indagine svolte dal’avvocato della famiglia della vittima, che ha richiesta l’avocazione, e al lavoro della stampa che ha tenuto l’attenzione sul caso», precisa. «Abbiamo ripreso le indagini appena in tempo per poter acquisire i dati telefonici, che vengono eliminati dopo due anni. Avevamo solo trenta giorni, per legge, ma abbiamo utilizzato anche i giorni di chiusura estiva per arrivare al risultato che vedete oggi». Le indagini sono ancora in corso per identificare i complici di Mancuso. E non si ha ancora una stima dei tempi per l’avvio della fase dibattimentale.


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Il 24 luglio 2010 Valentina Salamone, 19enne di Biancavilla, è morta per impiccagione. Ma a piazzarle il cappio intorno al collo sarebbe stato «Nicola Mancuso, amante della ragazza, insieme ad altri complici non identificati». Inizialmente archiviato come suicidio dalla Procura di Catania, il caso è stato riaperto dopo l'avocazione delle indagini alla Procura generale, su richiesta dell'avvocato della famiglia della vittima. Alla base, una serie di dettagli non notati da un medico generico sul luogo del delitto che hanno permesso l'arresto del presunto assassino

Il 24 luglio 2010 Valentina Salamone, 19enne di Biancavilla, è morta per impiccagione. Ma a piazzarle il cappio intorno al collo sarebbe stato «Nicola Mancuso, amante della ragazza, insieme ad altri complici non identificati». Inizialmente archiviato come suicidio dalla Procura di Catania, il caso è stato riaperto dopo l'avocazione delle indagini alla Procura generale, su richiesta dell'avvocato della famiglia della vittima. Alla base, una serie di dettagli non notati da un medico generico sul luogo del delitto che hanno permesso l'arresto del presunto assassino

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