Da un'auto bianca a due posti sarebbero partiti i proiettili che hanno ucciso il 26enne rumeno Florin Ciccio Dinu. Dopo una rissa nata per apprezzamenti di troppo di due catanesi ad alcune donne sposate. «Se vado in una discoteca piena di italiani e insulto le femmine che succede?», racconta Ovidiu Dinu, che quella sera era lì
Omicidio in via Costarelli, parla il fratello della vittima «Ha detto “Mi ha sparato” e mi è caduto tra le braccia»
«Ho visto la macchina, all’inizio pensavo che fosse una Smart, ma poi mi hanno detto che era una Toyota iQ bianca, che passava veloce davanti alla discoteca. Poi ci sono stati gli spari. Mio fratello si è girato, mi ha guardato e mi ha detto solo “Mi hanno sparato”, poi mi è crollato tra le braccia». Ovidiu Dinu è il fratello di Florin, detto Ciccio, il ragazzo di 26 anni morto sabato sera dopo essere stato colpito dai proiettili calibro nove sparati da un’auto in corsa, in via Scuto Costarelli. Erano tutti fuori dalla discoteca Onda latina, dove un nutrito gruppo appartenente alla comunità rumena di Catania stava festeggiando un compleanno. Ma la serata, secondo il racconto di Dinu, era stata turbata da alcune presenze non gradite. Quelle di due catanesi che, in base a quanto detto da chi era presente, avrebbero dato fastidio ad alcune donne sul posto. «Insultavano le femmine», sostiene una ragazza, usando il verbo insultare col suo significato dialettale. Sarebbero stati i pesanti apprezzamenti dei due nei confronti anche di donne sposate a fare scattare la rissa finita in tragedia.
Florin, in Italia da nove anni, di mestiere faceva il muratore ed era appassionato di musica e ballo. Per questo era un abituale frequentatore della discoteca Onda latina, ex Babilonia, che nel 2015 era stata chiusa dalla polizia perché avrebbe organizzato serate danzanti aperte al pubblico sotto la presunta falsa attestazione di essere un’associazione culturale. «È un punto di ritrovo per rumeni», dice un uomo – proveniente dall’Europa dell’est anche lui – che fino a un paio di anni fa lavorava nel locale. «Siamo ancora un’associazione», precisa Orazio Giordano, gestore dell’attività e marito della presidente dell’associazione. «Ciccio era un socio, un tesserato, il ragazzo più buono ed educato del mondo – continua Giordano, che nella tarda mattinata di oggi è stato sentito dai militari – Ma vorrei puntualizzare una cosa: lo hanno ammazzato fuori dal mio locale, io non c’entro. E persone senza tessera non ne faccio entrare. Possono entrare solo amici dei tesserati, che poi vengono registrati in un secondo momento». Parla mentre cerca in casa documenti da portare ai militari. Dopo i precedenti problemi con la giustizia, non vuole averne di nuovi.
«La lite è cominciata perché questi due che parlavano italiano, e che io non ho mai visto né sentito, volevano entrare senza essere tesserati – continua a MeridioNews Orazio Giordano – Ma all’ingresso sono stati fermati e hanno discusso con altri. Una fesseria, successa fuori dalla porta». La versione dei testimoni, però, è diversa. Sia rispetto ai moventi della lite, sia riguardo al luogo in cui è iniziata. «Mio fratello ci andava spesso in quel posto – continua il parente della vittima – Per me era la prima volta, ero con mia moglie. Ho visto iniziare il litigio dentro al locale, poi si sono spostati fuori. Se arrivi in un posto e cominci a insultare le femmine per noi è un bordello. Pensa se succede il contrario: se vado in una discoteca piena di catanesi e faccio lo scemo con la fidanzata di qualcuno, che succede? Poi i giornali dicono solo che è stato un rumeno. Là, invece, ha cominciato un italiano».
Il clima si surriscalda in fretta. Un gruppo di uomini accerchia i due estranei, parte una rissa. Di mezzo ci sarebbero anche un coltello e un paio di guanti, ma questa è una voce che si è diffusa tra i presenti e non trova conferme. Un catanese si allontana, ne resta solo uno, che viene spinto fuori. «Florin va fuori anche lui, perché nella rissa ci sono dei suoi amici, ma lui non c’entra niente, infatti era in piedi», continua il fratello. Il fatto che fosse in piedi non è un dettaglio di poco conto, perché secondo il testimone al momento degli spari la lite si era trasformata in un’ammucchiata per terra. «Il catanese era sulla strada e c’erano alcuni sopra di lui con cui si stavano acchiappando», spiega l’uomo, 36 anni, muratore anche lui e in Italia da 15 anni, dove ha avuto uno dei suoi due figli.
Il catanese in questione sarebbe il 40enne che si è presentato, la stessa notte, al pronto soccorso dell’ospedale Vittorio Emanuele con dei lividi sul volto. L’uomo avrebbe raccontato ai medici e ai carabinieri di essere stato preso a schiaffi e pugni da Florin Dinu e dall’altro giovane nordafricano. «Dopo qualche minuto esco fuori anche io, per cercare mio fratello – continua Ovidiu Dinu – E poi la macchina, gli spari, e mio fratello addosso a me tutto pieno di sangue. Mi stava morendo in braccio, lo capisci? Mio fratello mi stava morendo in braccio». Per un attimo tutto si ferma. Alcuni cominciano a scappare. Un connazionale comincia a correre, prende la sua macchina, ci mette dentro Florin Dinu, suo fratello e il 23enne marocchino ferito al fianco, presente nel locale perché amico di altri rumeni e di Florin.
«Iniziamo a correre verso l’ospedale, arriviamo là e c’è mio fratello sempre più pieno di sangue – ricorda – È morto così. Io sono disperato. Siamo tutti disperati. Eravamo cinque fratelli ma solo io e Florin vivevamo in Italia. Qua lo chiamavano tutti Ciccio perché così si era fatto conoscere, gli volevano bene. L’ho dovuto dire alla sua fidanzata, che era tornata in Romania per Natale e non era ancora tornata». La voce gli si spezza in gola, non riesce a finire di parlare. «Queste cose le ho dette anche ai carabinieri, voglio che trovino chi ha ammazzato mio fratello». Il corpo dell’uomo, dopo l’autopsia, potrà essere restituito alla famiglia. Il trasporto del cadavere in Romania costerà 2800 euro, soldi che i parenti di Florin Ciccio Dinu non hanno. Così hanno lanciato una raccolta fondi nella comunità, sperano di riuscire a racimolare il necessario per poterlo seppellire dov’è nato, a Medias.