Tanti filoni giudiziari per una sola verità che, dopo quasi quattro anni dalla morte del giovane medico, sembra ancora piuttosto lontana. Fra testimoni che puntualmente non si presentano, amici reticenti e lo spettro della mafia dello Zen a fare da sfondo. I legali: «Non è mai stata una rissa, ma un pestaggio a morte»
Omicidio Aldo Naro, cinque procedimenti per un solo delitto «Non chiediamo condanne ma di rifare da zero le indagini»
Cinque procedimenti per un delitto. E solo uno di questi per omicidio – ancora contro ignoti – nato in seguito alla denuncia della famiglia, che ritiene che i veri assassini non siano stati mai indagati. Sono passati già tre anni e mezzo da quella sera del 14 febbraio del 2015, quando il giovane medico Aldo Naro viene pestato a morte nella discoteca Goa, allo Zen, ma la verità su quello che gli è successo sembra essere ancora molto lontana. Un solo troncone si è già concluso, quello che ha portato alla condanna a dieci anni del buttafuori abusivo Andrea Balsano, all’epoca minorenne, che poco dopo il delitto si è costituito andando in caserma dai carabinieri e attribuendosi la colpa dei calci mortali. Lo stesso, però, che intercettato in carcere dice di essersi ammuccato la galera al posto di altri. Uno dei motivi che spinge la famiglia del giovane a credere che lui in realtà c’entri poco con l’omicidio o, quantomeno, che non sia stato il solo a infierire sul corpo ormai privo di sensi del medico.
Restano ancora aperti invece due processi – uno celebrato col rito abbreviato e uno invece con quello ordinario – per rissa aggravata e favoreggiamento. Ieri l’arringa finale degli avvocati di parte civile, Antonio e Salvatore Falzone, che non hanno chiesto la condanna degli imputati per rissa, «perché secondo noi non è stata una rissa» osservano, ma hanno chiesto al giudice di rimandare indietro gli atti delle indagini al pubblico ministero per ricominciare le indagini: «Abbiamo offerto molti spunti investigativi. Anche alla luce dell’intercettazione di Balsano, che reputiamo una cosa scandalosa. Tante le falle dell’indagine, che se la procura vuole potrà colmare. Insomma, ci auguriamo che i nostri input possano portare a tutta la verità». Intanto a giugno il pm Claudio Camilleri ha chiesto la condanna a due anni di carcere per rissa per Giovanni Colombo, Daniele Cusimano, Giuseppe Micalizzi e Mariano Russo e due anni per il reato di favoreggiamento invece per Francesco Meschisi. Chiesta l’assoluzione per altri quattro, sono Giuliano Bonura, Natale Valentino, Pietro Covello e Carlo Lachina.
Ma gli avvocati Falzone ribadiscono a gran voce: «Non è stata una rissa, nessuno riporta un graffio, c’è solo un morto sul tappeto, che è Aldo Naro. La dinamica dei fatti conferma questo proposito omicidiario: lui subisce più di un pestaggio, uno al centro del privé, un altro quando poi lo spingono dalle scale del privè verso la porta antipanico, e sappiamo che lì è già privo di sensi e continuano a picchiarlo – dicono i legali -, non è una rissa questa». Gli amici purtroppo non hanno voluto raccontare nulla in questi tre anni e mezzo, «tutti sostengono di averlo perso di vista, invece abbiamo un filmato migliorato dal consulente di parte civile in cui si vede che due di loro sono a mezzo metro da lui mentre lo picchiano – continuano gli avvocati -. Saranno minacciati o spaventati? Non lo so, fatto sta che nessuno ha visto niente e dicono di averlo trovato morto nel giardinetto fuori». Ma bisogna fare i conti anche con il contesto che entra, a gamba tesa, dentro questa storia. Cioè quello della mafia dello Zen, perché quella sera lì al Goa a lavorare ci sono anche buttafuori cosiddetti abusivi, perché imposti dalla mafia della zona alla discoteca, «è probabile che alcuni di questi saranno sicuramente tra gli assassini di Aldo Naro, per cui c’è un clima di resistenza, di minacce, di paura e omertà, se non si scava lì non andiamo da nessuna parte».
Intanto, proprio oggi avrebbe dovuto essere sentito, insieme ad altri due testimoni, il figlio del boss dello Zen Carmelo Militano, che avrebbe gestito il giro di buttafuori abusivi imposti alla discoteca. Un racconto, il suo, che potrebbe forse aprire nuovi spiragli su una vicenda ancora, dopo quasi quattro anni, fin troppo buia. Ma di lui in aula nessuna traccia, così com’era già accaduto durante l’udienza dei mesi precedenti, alla fine della quale era stato disposto l’accompagnamento obbligatorio per oggi. Ma lui non si è presentato. Toccherà aspettare fino a gennaio per poter ascoltare la sua versione di quella notte.