La mediatrice culturale tunisina, assassinata nel 2015 perché accusata di non avere partorito un maschio, si occupava di seguire gli sbarchi. Adalgisa Di Brisco all'epoca dirigeva l'ufficio Immigrazione. A MeridioNews ricorda quel giorno e ciò che ne è seguito
Omayma, parla la poliziotta che lavorava insieme a lei «Il marito mi guardò in faccia e disse di averla uccisa»
«Non dimenticherò mai il suo sorriso, era contagioso». A parlare, a due settimane dalla celebrazione della giornata mondiale contro la violenza sulle donne, è Adalgisa Di Brisco, commissaria capo della polizia e in passato dirigente dell’ufficio Immigrazione a Messina. Le parole di Di Brisco sono legate al ricordo di Omayma Benghalum, la mediatrice culturale uccisa dal marito a colpi di bastone, alla quale quest’anno è stata dedicata una iniziativa.
Quella di Omayma è la storia di una donna tenace che era riuscita a realizzare il suo sogno di trasferirsi dalla Tunisia in Italia. La vita di una 34enne che aveva messo al mondo quattro figlie. E che era riuscita a costruirsi una carriera lavorativa brillante. Ma è anche la storia di una donna che viveva una dramma dentro le mura di casa. Perché era succube del marito. Un padre amato dalle proprie figlie, ma un despota nei confronti di Omayma che colpevolizzava di non averle dato un maschio. Che la osteggiava sul lavoro, non volendo che fosse impegnata la sera negli sbarchi.
Omayma e Di Brisco lavoravano insieme durante gli sbarchi. «Avevo intuito che avesse qualche problema a lavorare la sera – racconta la commissaria – ma pensavo a problemi comuni a tutte le coppie, invece nascondeva bene il dramma che viveva in casa». La mattina del 5 settembre 2015 al commissariato Nord si presenta il marito Fawzi Dridi con le figlie ancora in pigiama. «Ricordo che qualcuno mi chiamò dicendomi che c’era il marito di Omayma che voleva parlare con me – prosegue -. Quando l’ho visto e ho notato che le bambine erano ancora in pigiama ho intuito fosse successo qualcosa. Ma non avrei mai pensato che guardandomi negli occhi mi avrebbe confessato di aver ucciso sua moglie a colpi di bastone». Davanti a quella notizia, Di Brisco ha dovuto farsi forza. «Ho allontanato le bambine da lui, e ho fatto quello che dovevo. Ricordo ancora che poco dopo mi chiamò Rosaria Di Blasi (all’epoca vicequestore, ndr) per chiedermi se la chiamata che aveva ricevuto dalla sala operativa era confermata. Piangevo e non riuscivo a parlare. Nessuno di noi poteva credere a cosa fosse successo».
Quello che troverà Di Blasi andando sul luogo dell’omicidio sarà il corpo di una piccola donna rannicchiata sul letto in posizione fetale con la testa fracassata. La casa come sospesa. Con le stoviglie da lavare, la tavola ancora apparecchiata. Da quel giorno tutto è cambiato. Il marito è stato condannato all’ergastolo, le quattro bimbe hanno continuato la loro vita. Tre di loro sono state adottate. Di Brisco continua a sentirle, quando il lavoro glielo permette. «Omayma aveva bisogno di più tempo per vederle crescere, noi due avremmo dovuto avere più tempo per conoscerci», conclude la commissaria.