A colloquio con Salvo Scibilia, celebre pubblicitario e docente dellAteneo di Catania. Una chiacchierata a tutto campo sulla comunicazione politica: dalla campagna del Pd da lui curata al confronto Bersani- Vendola (romanticamente ideologico, ma ripetitivo), passando per lutilizzo dei social media di Obama
Oltre la politica? Cè il marketing
Le elezioni amministrative sono ormai alle porte. Lo scontro politico si fa sempre più duro e dai toni accesi. Berlusconi ha trasformato il confronto delle città-chiave dove si vota (Milano, Torino e Napoli) in un referendum pro/contro se stesso.
Così mentre le campagne elettorali impazzano in quest’ultima settimana di corsa alle poltrone di sindaco delle varie città italiane, Step1 approfondisce alcuni temi del dibattito politico: dall’ultima campagna pubblicitaria del Pd, alla figura di Bersani, dal confronto con Vendola all’utilizzo dei social media nella politica, da Obama e il suo messaggio su Youtube al futuro della politica italiana.
Per fare questo, abbiamo chiesto a Salvatore Scibilia, docente di Comunicazione di massa e teoria e tecnica della comunicazione pubblicitaria nonché pubblicitario per l’agenzia Aldo Biasi (nota per la campagna di Prodi nel 2006 e per quelle più recenti di Bersani con lo slogan “Oltre”), di fare il punto sulla comunicazione politica in Italia.
Partiamo dalla sua ultima campagna pubblicitaria per il Pd: sul web è stata oggetto di presa in giro (si pensi al generatore di slogan di metilparaben). Quale target avevate in mente?
“Non è tanto una questione di target. Il messaggio era rivolto a coloro che votano il Pd. Poi si è puntato ovviamente agli astensionisti e agli indecisi. Abbiamo messo in moto il termine “Oltre”, un termine importante che segnala una volontà di pensare a lunga scadenza, di pensare a progetti grandi che vanno lontano dalle vicende personali di Berlusconi. Come abbiamo pensato che fosse caratterizzante il bianco e nero della foto di Bersani. Abbiamo concepito dei titoli strutturati del tipo: “Oltre questo che va male, c’è quest’altro che va bene”. Questo tipo di meccanismo ci porta lontano e può avere la sua efficacia. Attualmente, ci sono tante prese in giro affettuose o anche un po’ più pungenti, ma sicuramente non è una campagna passata inosservata. Poi è chiaro che chi si piglia la briga di polemizzare lo fa, mentre chi è d’accordo sta zitto. Spesso succede così. Comunque, il candidato ha guadagnato diversi punti percentuali. E questo è un fatto obiettivo al di fuori della campagna pubblicitaria”.
Detto questo, come si organizza una campagna di comunicazione politica e quanto influisce la decisione di un partito sulla pianificazione?
“Ci sono delle indicazioni di massima ma poi c’è sempre il candidato o il partito che fa le sue scelte. Dobbiamo considerare che non siamo in campagna elettorale (politica, ndr) e che certi media, come la televisione, sono soggetti a determinati regolamenti. La cosa è diversa per i quotidiani, dove il Pd può contare su testate “amiche” come “L’Unità”. D’altronde, un conto è ragionare per un “partito-media” come quello di Berlusconi, un conto è ragionare di un partito più sobrio, più scarno, come il Pd. Il Pd ha nel suo DNA la vecchia “Agitprop” ovvero “Agitazione e Propaganda”, un modello di comunicazione antico che punta a ribadire i punti essenziali in maniera martellante. Dall’altro lato, c’è una comunicazione che deriva dall’esperienza commerciale. Quando si dice che un partito è una marca, in ambito Pd è una novità, per il Pdl no”.
Che significa, per la comunicazione, partito-marca?
“Che si dovrebbe per esempio fare delle promesse, come fanno le marche: nel Pd c’è più resistenza a fare delle promesse altisonanti. Il Pd non direbbe mai: “Vi daremo un milione di posti di lavoro” in campagna elettorale. Al contrario rivendicherebbe la centralità del lavoro. Da questo punto di vista, chi ha la spada più grossa è più popolare. Certi messaggi “over promise”, fin quando non vengono smascherati dai fatti hanno effetto ma possono essere anche un boomerang come lo è stato per il Pdl. Fondamentalmente c’è questa diversità culturale d’impostazione”.
Cosa pensa del Bersani che si prende in giro da solo con la parodia di Crozza?
“Mi sembra di capire che ci siano delle cose che, dal punto di vista politico, sono scarsamente rilevanti, ma in termini di comunicazione sono importanti. Un candidato che abbia una sua fisionomia, una propria riconoscibilità, una propria caratterizzazione non credo sia una cosa negativa. Poi, è chiaro che un comico come Crozza debba far ridere. “L’emilianità” di Bersani, il suo “Oh, ragassi” e il suo modo di fare lo caratterizzano positivamente, a mio avviso. E’ un tratto simile a quello dei cartoon. Un personaggio politico come Gasparri, ad esempio, non ha una sua fisionomia”.
Ma, in questo modo, il leader del Pd non corre il rischio di esser preso poco sul serio?
“Non lo corre, a mio avviso. Bersani è un uomo concreto. Le critiche sono state fatte sulla richiesta di una maggiore incisività. Secondo me, quanto più è incazzato tanto più è apprezzabile”.
L’elettorato di centro-sinistra è favorevole, secondo lei, ad una comunicazione più “pop” fatta di battute, parodie e barzellette?
“Un po’ di leggerezza, secondo me, è anche nell’aria. La serietà e i “paroloni” stanno scivolando sempre più in provincia. Mi spiego: anche durante queste elezioni amministrative, molti termini altisonanti come giustizia, libertà, futuro sono appannaggio della provincia, dei candidati più periferici. Nella politica più alta, c’è secondo me una voglia di solarità e leggerezza. Perché poi questi temi rischiano di diventare rituali e stancanti”.
Nichi Vendola, secondo lei, sarà il vero competitor di Bersani in una possibile corsa alle primarie del Pd?
“Secondo me no. Nichi Vendola ha chiaramente molti elementi che lo rendono apprezzabile. E’ abbastanza mediatico, con una sua visionarietà e un suo carisma. Lo definirei “romanticamente ideologico” per questa sua caratura. E’ molto trascinante, ma siccome applica il suo discorso a grandi tematiche, a tematiche cosmiche rischia di essere ripetitivo. Ci sono temi che costantemente ritornano, ma come fatti di principio. Sembra esserci un approccio neo costituzionalista che cerca di fissare dei parametri fondamentali come l’uguaglianza, la giustizia, ma restano astratti e lontani. E’ un discorso visionario, affascinante ma troppo largo. Infatti, nelle proiezioni non si muove tanto. Ha avuto uno scatto in avanti 8 mesi fa ma adesso si muove di poco”.
Vendola è noto per aver fatto un uso intelligente dei social media e dello storytelling. Cosa pensa degli strumenti comunicativi messi in pratica dal governatore pugliese?
“Lui ha margini di dialettica interna pari a zero. Mentre il Pd deve fare i conti con il mondo cattolico che è una componente importante rappresentato dalla complessità delle dinamiche interne del Pd. Vendola ha un mondo più piccolo ma più coeso e questo gli consente di lanciarsi in grandi discorsi senza pericoli di contradditorio interno”.
Bersani fa autoironia, Vendola racconta le sue storie: queste strategie hanno influenza su un target di giovani?
“Secondo me influiscono, ma il livello tecnico dei punti messi in campo, in particolar modo dal Pd, è molto articolato. Se non c’è una buona cultura di base nell’elettore potenziale, si fa fatica a comprendere la ricchezza della proposta. Ecco perché tante volte a destra, a sinistra e al centro si prendono scorciatoie sloganistiche per evitare alla gente di fare i conti con la ricchezza che diventa una matassa che non può più sbrogliare”
Infine, parliamo di Stati Uniti d’America. Obama ha usato Youtube per annunciare la ricandidatura alle presidenziali del 2012. E’ lo strumento giusto, secondo lei, visto che la TV è il mezzo più utile, anche se più costoso, per la diffusione di un messaggio?
“Sì, mi sembra tra l’altro una conseguenza della grande esperienza maturata positivamente durante la campagna elettorale di Obama. Sappiamo che è stato il primo candidato presidente a usare scientificamente internet. Non c’è nulla di sperimentale perché già il primo tentativo è andato a buon fine. Sarebbe stato semmai sorprendente se avesse scelto di non usare o sottovalutare l’universo della Rete”.
Quanto è lontana l’Italia dalla comunicazione politica a stelle e strisce?
“L’Italia è ancora tanto lontana. Il mondo dei blogger è piccolo perché lo strumento viene spesso proposto in chiave aggiuntiva. Ad esempio, siamo davanti al programma di Gad Lerner in TV e il conduttore dice “scrivetemi su gadlerner.it”. Sembra quasi un doppio lavoro. Mentre l’uso reale è un uso alternativo al media televisivo non è la somma dei due ma la Rete al posto della televisione. A mio avviso, pur non avendo i numeri del mercato, credo che l’utilizzo sia basso”.
Politica e web 2.0: quale futuro per l’Italia?
“Il trend è in crescita ma io faccio fatica a vedere un cambio di segno significativo”.
Fare un uso più strutturale del marketing politico potrebbe essere la svolta nella comunicazione politica italiana?
“Svolta è una parola grossa, secondo me. Se fatto bene, il marketing politico può contribuire a creare un osservatorio visibile. La politica non è solo quella vista dai sondaggisti, da chi la fa in maniera autoreferenziale, e neanche quella della ritualità dei media come la televisione. È fatta anche da chi la organizza in una chiave di marketing.. La lettura della trama nel marketing è propedeutica per capire i programmi messi in piedi dai partiti. Se io faccio la campagna del Pd e riesco a tracciare l’itinerario sicuramente è un elemento importante in mano al partito ma anche a chi lo guarda. Certo, è solo una parte del discorso. Il nostro mestiere non è mai un lavoro che ha un’autonomia totale. La posta in gioco è troppo alta e la professione è ancora poco strutturata per consentire al professionista di gestire le cose a modo proprio senza l’impronta del partito o del candidato. Sono pochi i Jacques Séguéla. Risulta difficile per il consulente scavare nell’intimità del candidato, salvo la presenza di un rapporto fiduciario costruito nel tempo. Anche il livello modesto della cultura della comunicazione, e di quella politica in particolare, influisce sulle scelte dei professionisti. Insomma, siamo ancora di fronte alla mancanza di un dominio completo della materia”.