Oltre cento minori da un mese nell’hotspot di Pozzallo «Si violano diritti fondamentali, giornalisti tenuti fuori»

Hanno attraversato il Sahara e il Mediterraneo e sono sbarcati a Pozzallo nelle scorse settimane. Sono centoventi e hanno meno di diciotto anni. Si trovano ancora all’interno dell’hotspot, una struttura inadeguata a garantire loro i requisiti fondamentali dell’accoglienza prevista per i minori stranieri non accompagnati. Negli ultimi giorni sono stati accompagnati dai volontari in veloci passeggiate per la città di Pozzallo, dove è in corso il festival internazionale Sabir. Del loro futuro, dei loro trasferimenti, non hanno alcuna certezza. Lo Stato italiano non ha ancora trovato una soluzione.

«Su 142 presenze, 120 sono costituite da minori non accompagnati – ha dichiarato il senatore Luigi Manconi, presidente della commissione Diritti Umani, che ha visitato la struttura giovedì -. È impensabile che i minori debbano stare lì per settimane, ben oltre le 72 ore». Vivono nel centro anche da un mese, in condizione di promiscuità, con adulti, senza ricevere il necessario supporto. Non possono essere trasferiti altrove però perché mancherebbero i posti nelle altre strutture di accoglienza del sistema di protezione. Lo scorso dicembre Medici senza frontiere – dopo aver denunciato in un durissimo report le condizioni in cui i migranti vengono tenuti – ha interrotto ogni attività nel centro di Pozzallo denunciando «condizioni indegne e mancanza di volontà per migliorare la situazione». 

Ieri nell’hotspot è entrato anche il deputato Paolo Beni: «Il governo ha fatto delle scelte giuste, come garantire a tutti la protezione Sprar, ma il sistema si è inceppato – spiega il parlamentare del Pd -. Funziona come un sistema idraulico. Il flusso esercita pressione continua e, se c’è un punto ostruito, questo scoppia». Con lui, in delegazione, anche il vicepresidente dell’Arci, Filippo Miraglia: «I ragazzi sono lì da aprile senza far nulla e ci sono state anche delle proteste. Sono già stati identificati tutti e potrebbero essere trasferiti subito. Sono minori, lo Stato deve garantire loro delle tutele»

In difficoltà Luigi Ammatuna, il primo cittadino della città ragusana, che di questi minori è, per legge, il tutore. «Il sindaco ha l’obbligo di tirarli fuori dal centro. Nei primi periodi è stato possibile farlo velocemente – sottolinea – ora è tutto pieno e per me è un problema». I minori rimangono così all’interno dell’ex centro di primo soccorso e accoglienza, a gennaio tramutato formalmente in hotspot. La loro permanenza prolungata potrebbe essere illegale. «Sono strutture che non hanno basi giuridiche nell’ordinamento italiano – denuncia Nazzarena Zorzella, dell’Asgi (l’associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione) -. Il trattenimento dovrebbe essere autorizzato da un giudice e non può essere così lungo, non è previsto dalla legge; nel caso dei minori inoltre la violazione è doppia».

Resta tuttavia impossibile raccontare ciò che accade realmente all’interno dell’hotspot. Nessun giornalista è mai entrato, tutte le richieste sono state negate dalle Prefetture. «Si stanno violando i diritti fondamentali, ma non possiamo documentarlo perché il ministero ci vieta l’accesso», denuncia Giovanni Maria Bellu, dell’Associazione Carta di Roma. Anche ieri l’ingresso di due giornalisti è stato negato: «Saremmo entrati con una delegazione che accompagnava il deputato Beni, ma ci hanno comunicato che alla fine non siamo stati autorizzati», riporta Eleonora Camilli, di Redattore Sociale.

«Il mancato ingresso dei giornalisti è una decisione del ministero dell’Interno; credo ritenga necessaria la riservatezza – risponde il deputato Beni – legata alle operazioni complicate che si svolgono all’interno. Certa stampa poi si presta ad operazioni strumentali o a esigenze politiche di parte. Io comunque sarei sempre per la libertà di raccontare».

Così, alla conclusione del seminario formativo organizzato dall’Associazione Carta di Roma, dall’Ordine dei Giornalisti Sicilia e dall’Assostampa Ragusa, è stato stilato un documento in cui «si invita il ministero a rivedere la sua posizione garantendo l’esercizio del diritto di cronaca», attraverso l’accesso all’interno di queste strutture, sino ad oggi, invisibili.


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