Uno sondaggio di Eurostat fa posizionare l'Isola agli ultimi posti dell'Unione europea per quanto riguarda il lavoro. Tra mansioni non disciplinate, mancanza di investimenti su istruzione e bassa qualità, la Regione fa i conti con i numeri disastrosi
Occupazione, la Sicilia ancora fanalino di coda in Europa Meno nero denunciato, restano nodi formazione e qualità
Un tasso di occupazione del 41,1 per cento che fa posizionare la Sicilia come la Regione con la percentuale più bassa dell’Unione europea e di tutto il resto d’Italia. Il Belpaese si attesta con una media del tasso di occupazione del 58,2 per cento. E se si guarda alla provincia di Bolzano, la cui percentuale di occupazione è del 70,7 per cento – dato superiore alla media Ue che si attesta al 68,4 per cento – dall’altro lato i dati di Campania, poco oltre il 41,3 per cento, Calabria, al 42 per cento e Puglia al 46,7 per cento, sono tutt’altro che incoraggianti e sono i più bassi della Penisola. I dati arrivano dal sondaggio di Eurostat e fanno riferimento al 2021. Secondo l’inchiesta, rivolta alla popolazione che va dai 15 ai 64 anni di età, in Europa, la Regione a fare peggio della Sicilia è quella della Guyana, territorio d’oltremare francese, con una media occupazione del 41,4 per cento.
Sui numeri poco confortanti si è espresso Maurizio Avola, docente di Sociologia dei processi economi e del Lavoro di Unict, che ai microfoni della trasmissione Direttora D’aria su Radio Fantastica si sofferma sulla situazione attuale, su una Sicilia in cui insiste ancora un’elevata presenza di lavoro nero. «Anche eliminando il tasso di lavoro nero non colmerebbe le distanze abissali con il resto d’Italia e l’Europa – dichiara il docente – Il ritardo occupazionale non è una novità e i dati pubblicati qualche giorno fa non sorprendono e sono in continuità con quelli pubblicati oltre 10 anni fa. La situazione non è né migliorata né peggiorata, ma a cambiare in questi anni sono stati i dati delle altre regioni e degli altri Paesi, rispetto a cui siamo in forte ritardo». Altro aspetto è l’occupazione femminile. Su questo fronte, i numeri sono ancora più bassi, se consideriamo che l’occupazione delle donne in Sicilia è del 29,1 per ceno, a pari merito con la Campania.
Poco meglio il dato della Calabria, con il 30,5 per cento Il tasso è ancora più basso per le donne, con il 29,1% in Campania e Sicilia e il 30,5% in Calabria. Ma se i numeri siciliani non fanno ben sperare, viene da chiedersi come hanno fatto le altre regioni e Paesi d’Europa ha ottenere dei progressi. «Il nostro tessuto produttivo è particolarmente arretrato, ci sono ancora attività che producono poca occupazione, anche quelle più elementari – prosegue Avola – Siamo in ritardo sui settori della Salute, sull’offerta dei servizi socio assistenziali. I servizi facilitano l’attività formativa delle donne e delle famiglie in generale: questo tipo di offerta non c’è. Adesso, coi fondi del Pnrr, potrebbe esserci un incremento dell’offerta di quelle strutture che permettono la coesione sociale. Importanti in questo senso sono gli asili nido». Oltre al mancato investimento sui servizi, a essere messa da parte, un settore su cui non si è puntato, secondo il docente è stato quello dell’istruzione. ««I nostri giovani studenti lasciano la Sicilia per andare a studiare in contesti che possano offrirgli più opportunità occupazionali – afferma Avola – Per questo motivo bisogna invertire la tendenza sulla formazione dei giovani».
Secondo è l’istruzione che per troppo tempo abbiamo abbandonato: investimenti in istruzione significa creare la condizione perché i giovani rimangano sul nostro territorio. «I nostri giovani studenti lasciano la Sicilia per andare a studiare in contesti che possano offrirgli più opportunità occupazionali – afferma Avola – Per questo motivo bisogna invertire la tendenza sulla formazione dei giovani». Da una parte la mancanza di lavoro, dall’altra parte il nero, con posizioni occupazionali non regolarizzate. A parlarne è l’avvocato del Lavoro Concetto Ferrarotto. «Non raggiungeremmo livelli alti nemmeno eliminando tutto il lavoro nero – osserva – Negli ultimi anni c’è un lavoro nero, ma è correlato al fatto che ci sono meno denunce di lavoratori regolarizzati». Questi comprendono anche quei percettori del reddito di cittadinanza che continuano a lavorare in nero e a percepire il sussidio. Un altro fatto determinante sono i contratti. «Ci sono soggetti che vengono assunti parzialmente e in realtà lavorano molto di più delle ore segnate sul contratto – prosegue Ferrarotto – Tutti quei servizi che prevedono un’offerta agli utenti h24 sono pagati in maniera esigua».
Mansioni pagate in modo inadeguato a cui si aggiungono anche i servizi alla persona che trovano spazio all’interno dell’occupazione femminile: «Dalla parrucchiera, all’estetista, alle lezioni private – fa notare Ferrarotto – Lavori che spesso sono svolti da quelle famiglie che non hanno un reddito sufficiente per poter sostenere situazioni difficili». Occupazioni non disciplinate e spesso sottostimate per un settore, quello del lavoro in Sicilia in cui, oltre a strumenti e servizi a mancare sono anche i controlli. «C’è carenza del personale ispettivo – conclude Ferrarotto – Una strada da seguire è quella della crescita dell’economia, della cultura e della legalità. Oggi si investe poco sulla qualità perché si vuole risparmiare su altro: questo passaggio ricade sui dipendenti e di conseguenza è una modalità sbagliata di fare impresa. Ci deve essere la convinzione che dietro il pagamento esiguo di un servizio c’è una minore retribuzione di un dipendente».