Obiezione di coscienza: il dilemma dell’interruzione della gravidanza

di Lorenzo Ambrosetti

Tra i diritti fondamentali dell’uomo rientra il diritto all’obiezione di coscienza per le persone portatrici di un determinato credo religioso che si rifiutano di esercitare la loro professione in presenza di condizioni che pregiudichino le loro convinzioni religiose.

La materia è stata regolata anche dalla Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea, che nell’art. 10 afferma che “il diritto all’obiezione di coscienza è riconosciuto secondo le leggi nazionali che ne disciplinano l’esercizio”.

Il problema dell’obiezione di coscienza non consiste tanto nel suo riconoscimento come diritto a tutti gli effetti, cosa che appare assolutamente legittima, quanto nell’uso strumentale che le gerarchie vaticane hanno fatto in Italia di tale strumento legislativo. (a sinistra, foto tratta da donna.tuttogratis.it)

La Pontificia Accademia per la vita ha “raccomandato una coraggiosa obiezione di coscienza” e in particolare a “medici, infermieri, farmacisti e personale amministrativo, giudici e parlamentari ed altre figure professionali direttamente coinvolte nella vita umana individuale, laddove norme legislative prevedessero azioni che la mettono in pericolo”.

La disciplina dell’obiezione di coscienza all’interruzione della gravidanza è quella che ha suscitato e continua a suscitare le maggiori discussioni.

La legge 194 del 1978 considera l’accesso all’interruzione della gravidanza come un diritto della donna. L’art. 9 riconosce poi il diritto all’obiezione ma con precisi limiti. Può esercitare l’obiezione solo il personale sanitario ed essa esonera solo “dal compimento delle attività specificamente e necessariamente dirette a determinare l’interruzione della gravidanza e non dall’assistenza antecedente e conseguente all’intervento”.

Inoltre l’obiezione non esonera dall’obbligo di effettuare gli interventi indispensabili “per salvare la vita della donna in imminente pericolo”.

Più in generale, gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate “sono tenuti in ogni caso ad assicurare l’effettuazione degli interventi”. In un contesto simile si comprende bene come il riconoscimento del diritto all’obiezione di coscienza deve essere interpretato restrittivamente, nel senso che la scelta dell’obiettore non può in ogni caso pregiudicare altri diritti istituzionalmente riconosciuti prevalenti.

Cosa che nella realtà di tutti i giorni non avviene, poiché capita di frequente che gli enti ospedalieri non siano sufficientemente organizzati per gestire i casi di interruzione di gravidanza in presenza di medici obiettori. Senza contare il discredito sociale al quale sono sottoposti i non obiettori che, in alcuni casi, come è avvenuto qualche anno fa negli Stati Uniti, sono stati sottoposti addirittura a minacce di morte. (sopra, foto tratta da ctzen.it)

Ma di obiezione si parla ormai anche per i farmacisti e persino per i magistrati. Per i magistrati l’obiezione di coscienza è piuttosto problematica. Un conto è la libertà di manifestazione del pensiero, a tutti riconosciuta, quindi anche ai magistrati; mentre cose ben diverse sono gli atti giuridici che il magistrato compie e che sono diretta espressione della sua soggezione soltanto alla legge e della sua imparzialità.

Quanto ai farmacisti il rifiuto di somministrare un determinato farmaco incide sul fondamentale diritto alla salute e appare incompatibile con lo svolgimento di un servizio pubblico in condizioni che escludono la libera offerta dei farmaci sul mercato.

 

 


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