A distanza di sei anni dalla morte del dottorando in filosofia restano ancora molte le domande della famiglia, che spera in un’indagine interna al contesto universitario per smascherare «caste e baronie». Resta vivo anche il desiderio di un appoggio istituzionale per poter fare cultura nel nome del ventisettenne scomparso
Norman Zarcone, il padre invia una lettera a Mattarella «Non posso non chiedermi: a chi fa paura mio figlio?»
«Non compro e non vendo con nessuno, romperò sempre i coglioni al mondo. Devono sapere che non li mollerò». Inizia così lo sfogo sui social di Claudio Zarcone, papà di Norman, il dottorando in filosofia morto sei anni fa all’Università di Palermo. «Stanotte ho inviato una mail al Presidente Mattarella, il quale ha sempre fatto spallucce. Una nota scritta con rispetto, ma dura», prosegue il post dell’uomo, che già dal giorno dopo la morte del figlio ha subito cercato risposte e riscontri soprattutto rivolgendosi alle istituzioni locali e nazionali. Non usa giri di parole e va dritto al cuore della questione: «Le avrò scritto non so quante volte – inizia la lettera – così come ho scritto agli ultimi tre Presidenti del Consiglio. Letta mi ha dato un buffetto sulla guancia con una lettera stucchevole e falsa, mentre Monti e Renzi non si sono degnati neanche di un buffetto protocollare: silenzio istituzionale. Lei, Presidente, non ha mai voluto ascoltare la mia storia, quella di un talentuoso dottorando di ricerca morto suicida per gridare contro le baronie universitarie. Non mi ha mai voluto incontrare, Presidente, ed io non sono il megalomane, l’ammalato di divismo. Ho sessantuno anni, la vita segnata. Godo di un emolumento mensile e non chiedo posti di lavoro. Le ho sempre chiesto giustizia per Norman, ma Lei non mi ha mai ascoltato».
Non è, infatti, la prima volta che Claudio Zarcone si rivolge a Sergio Mattarella. Ma ciò che ha ottenuto finora sono stati solo silenzi o rimbalzi ad altri enti. «Se sei amico di un qualche assessore o se sei sponsorizzato dal politico potente di turno forse ti fanno fare una manifestazione, sappiamo come funzionano le cose – dice – provo tanta amarezza». Sul fronte accademico, poi, il rettorato in questi anni non si è mai mosso per accogliere domande e richieste di un genitore in cerca di risposte. «Hanno creato lo Spazio generazione Norman, ma è un contenitore che non hanno mai riempito di contenuto: qual è il suo senso se non si organizzano convegni, incontri e manifestazioni?», si chiede retorico il padre del giovane dottorando. Cultura e riconoscimenti a parte, però, quello che si sarebbe dovuto fare nell’immediato dopo la morte di Norman, secondo lui, era un’indagine interna all’Università stessa, prendendo gli atti di quel dottorato e mandandoli alla magistratura e al Miur. Questo, secondo Claudio, avrebbe dovuto rappresentare una sorta di «atto dovuto» da parte dell’Università.
«Di fronte a questa morte è come se avessero semplicemente detto “è tutto a posto” – insiste il padre del ragazzo – Nessuno ha vagliato graduatorie e prove d’esame, che andavano mandate alla magistratura, la stessa che non mi ha mai fatto sapere nulla». Nessuna risposta o conseguenza nemmeno dopo aver presentato nel 2012 un esposto contro Elsa Fornero, l’allora ministra del Lavoro che aveva etichettato i giovani di oggi con l’aggettivo choosy, cioè schizzinosi: «Giustamente un ministro da noi può fare e dire quello che vuole, come Giuliano Poletti» dice, riferendosi alla recente frase pronunciata dall’attuale ministro del Lavoro sui giovani all’estero. Al figlio, intanto, non è mai stato assegnato neppure il dottorato alla memoria, malgrado fosse ormai giunto al terzo e ultimo anno, a pochi mesi dalla discussione della tesi finale: «Questo dipende dal Consiglio di Facoltà, che si è sempre messo di traverso per punire questo padre che parla troppo sui giornali». Intanto l’amarezza resta tanta. «Non mi aspetto niente neppure per quest’ultima nota che ho inviato – conclude Claudio – Si dicono tutti vicini alla storia di mio figlio, ma nel concreto nessuno fa nulla. Gli approfondimenti e le inchieste vere non le fa nessuno, dopo sei anni sono costretto ancora a chiedermi “a chi fa paura Norman Zarcone?” Probabilmente a chi non vuole che venga scoperchiato qualcosa che è meglio tenere chiuso».