Da un lato l'azienda che ha chiuso, dall'altro un Paese intero bloccato e l'impossibilità di tornare in famiglia. Un limbo che, però, qualche giovanissimo ha saputo accettare, senza troppi drammi. A pesare, però, è la voglia di qualcuno di approfittarsene
«Non torni al sud ma non puoi pagare l’affitto? Ti sfratto» Storia di chi è rimasto al nord pur avendo perso il lavoro
Non tutte le storie di chi è rientrato in massa dal nord al sud sono uguali. Dentro quella massa sono tanti i casi, le esperienze, le vite da distinguere. Come quella di chi ha perso il lavoro e, non avendo più alcun guadagno, non ha potuto far altro che raggiungere la famiglia. Eppure, nella stessa identica situazione, non tutti hanno fatto la stessa scelta. C’è chi, come Giorgia, è invece rimasto lì dove fino a pochi giorni prima aveva lavorato. Nel suo caso, la nuova vita comincia a Reggio Emilia, dove lei, appena 21enne, trova lavoro in un’azienda. L’emergenza Covid-19 la spaventa solo fino a un certo punto, lì in fondo ha il suo stipendio e la casa che condivide con due coinquiline universitarie. E si sente al sicuro. Le cose cambiano, però, quando la situazione dell’intero Paese peggiora e l’azienda chiude. Senza lavoro, lei non ha alcun introito. Ma tra qualcosa che ha messo da parte e gli aiuti che la famiglia le manda da Bagheria, riesce a provvedere alla spesa. Per cui, una volta saputo che nessuno può più spostarsi liberamente e non si può tornare al sud, decide di rimanere dov’è, evitando di mettere a rischio se stessa e gli altri.
Pagare l’affitto, però, può essere un problema in questa situazione. In quella casa insieme a lei sono rimaste anche le due coinquiline. Tutte e tre rinnovano il contratto mese dopo mese, pagando a testa 385 euro, ognuna per la propria stanza. L’ultimo contratto scade, già in piena crisi Covid, il 18 marzo. Solo che la padrona di casa si aspetta di sentire, dal giorno dopo, che le ragazze torneranno a casa propria. O, al limite, che rinnoveranno il contratto come se nulla fosse. Le tre, però, sono in difficoltà, tra chi studia e chi non lavora più, e non vogliono gravare sulle proprie famiglie, a loro volta già provate dalla situazione. Cosa fare quindi? Ormai sono bloccate e non possono muoversi in nessun modo. Chiedono quindi alla padrona di casa di poter pagare per il momento, con l’aiuto delle famiglie, solo le utenze e di mettersi nuovamente in regola col pagamento dell’affitto non appena la situazione si sarà normalizzata. Solo che la signora non sembra prenderla bene.
Tanto che, su tutte le furie, le minaccia di sfrattarle. «Siamo persone perbene, le abbiamo chiesto solo qualche compromesso vista la situazione, ma lei sembra davvero intenzionata a buttare per la strada tre ventenni lontane da casa», spiega la mamma di Giorgia, che ha cercato in ogni modo di mediare, a distanza, con la padrona di casa per convincerla a un pizzico di solidarietà. Ma la signora reggiana è imperterrita. E fa la sua controproposta: «Le ragazze possono andarsene in qualche albergo. Se rimarranno in quella casa senza firmare il nuovo contratto mensile, allora dovranno corrispondermi 50 euro l’una al giorno». Una follia, per le tre ragazze. «Forse la signora non sa che il governo ha sospeso, a causa dell’emergenza Covid, ogni sfratto – torna a dire la mamma di Giorgia -, nessuno può buttare per strada delle persone che, proprio con coscienza e per evitare qualunque possibile incidente, sono rimaste lì piuttosto che fare ritorno nelle proprie case».
Le ragazze, insomma, devono rimanere dove sono. Ma di certo non è facile aggiungere alla paura del virus e alla nostalgia di casa, anche il terrore che la padrona di casa possa rivalersi su di loro e fargliela in qualche modo pagare. «Temo, purtroppo, che sperava di potersene approfittare, dal momento che davanti aveva tre ragazze giovanissime – continua la mamma di Giorgia -. Sperava di intimidirle con le sue minacce? Cosa voleva ottenere, soldi? La casa libera? E in quel caso a chi l’avrebbe affittata? Resta il fatto che è cascata male e che la giustizia è dalla nostra, non dalla sua. Dovessimo chiamare i carabinieri e raccontare questa storia, lei è certa di come andrebbe a finire? A questo punto penso di no». Resta, in Giorgia e nelle sue coinquiline, soprattutto l’amarezza nel constatare che neppure un momento tanto buio e difficile per chiunque abbia potuto tirare fuori da tutti un pizzico d’umanità e di comprensione. Possibile che chi, come loro tre, ha fatto la scelta meno ovvia, quella di rinunciare alla comodità di un ritorno clandestino col treno di mezzanotte che le avrebbe riportate dalle famiglie, deve far convivere quel gesto di civiltà con un senso di colpa indotto e ingiusto?
«Ci sono tante altre giovani lì, come mia figlia e le sue coinquiline. Chi studia, chi lavora – torna a dire la mamma di Giorgia -. Qualcuna è stata più fortunata e ha trovato un padrone di casa comprensivo che spontaneamente ha ridotto le loro spese, dimezzando l’affitto e andando loro incontro come poteva. Qualche altra è stata invece sfortunatissima, è finita sbattuta fuori di casa e in preda al panico ha preferito tornare a casa al sud, autodenunciasi e mettersi in autoquarantena da sola. Ma sorbendosi anche la gogna virtuale di tutti quelli che le hanno additate come delle egoiste, delle immorali, qualcuno addirittura come delle criminali. E poi ci sono loro tre, che sono rimaste lì e che hanno il diritto di restarci e di essere al sicuro».