Non si ride più

Ogni volta che si avvicina il periodo natalizio e in tv cominciano ad apparire a ritmo martellante gli spot degli ennesimi cinepanettoni, ti viene da pensare che non solo il cinema italiano è ormai spacciato, ma pure il cinema comico. E anche i gusti degli Italiani sono andati a farsi benedire, se gli ultimi retaggi della commedia all’italiana con protagonisti i soliti Boldi, De Sica, ex-veline ed Er Cipolla continuano ad incassare fior di quattrini. Nel caso in cui servissero conferme, ecco che quella che sembrava una normale giornata di fine Novembre si trasforma nell’11 Settembre di tutti gli amanti del cinema: una mattanza che cancella, come un fulmine a ciel sereno, un mito del cinema comico americano ed un’icona del cinema italiano ed internazionale.

Si comincia alle prime ore del mattino, quando nei giornali rimbalza la notizia della morte di Leslie Nielsen, 84 anni, da tempo malato ai polmoni. Non serve andare a controllare la filmografia, basta osservare di sfuggita il faccione stralunato di quel buffo uomo dai capelli bianchi per sorridere e tornare indietro all’infanzia passata a vedere “L’aereo più pazzo del mondo” ed “Una pallottola spuntata”. Cult di quel genere di cinema parodistico che oggi non esiste più, o se esiste si limita a strizzare l’occhio alle nuove generazioni, scimmiottando film vampiristici che di per sé sono già ridicoli. E’ evidente che i cineasti hollywoodiani di oggi non hanno capito nulla dei meccanismi comici di Nielsen, in coppia col regista Zucker: non solo frullava i cliché televisivi e cinematografici (Il tenente Drebin così simile al Tenente Colombo) ma giocava con lo spettatore, spiattellandogli le sue paure per riderci su (prima su tutte, la paura dell’aereo) e confondendolo con gag irresistibili che spesso si intravedono solo sullo sfondo. Infine si concedeva anche della feroce satira politica e sociale, con la regina d’Inghilterra tacciata di essere una baldracca, gli impiegati scontenti delle poste con fucili in mano come nella scena de “Gli Intoccabili”, fino al Presidente degli Stati Uniti di “Scary Movie” praticamente identico a Bush e, guarda caso, completamente idiota.

Con Leslie Nielsen se ne va un maestro del cinema parodistico americano, ed una fetta della nostra adolescenza che nessun comico potrà mai rimpiazzare. Ma il peggio doveva ancora arrivare. Perché in serata giunge improvvisa una notizia devastante, per certi versi inaspettata dato che alcuni personaggi spesso ti sembrano quasi immortali: nello specifico, a uno come Mario Monicelli auguravamo tutti vita eterna, grazie a quella verve mai vista in un novantenne, con la quale gridava il suo no al governo dei tagli alla cultura. E invece, il grande regista muore d’improvviso, gettandosi da una finestra dell’ospedale San Giovanni di Roma.

Mario Monicelli era il più istrionico e il più eclettico maestro di un cinema ormai dimenticato, e sicuramente era quello che riusciva a passare con più facilità da un genere all’altro, dal goliardico al drammatico, generi spesso mescolati con genialità all’interno della stessa pellicola. Nella sua immensa carriera ha saputo mettere in mostra come pochi i caratteri di quella che poi verrà chiamata la “commedia all’italiana”, un genere a prima vista leggero, legato a doppio filo al neorealismo, ma che tiene a mettere in mostra le due facce dell’italiano del dopoguerra, a metà tra il riso e l’amaro. Ma non solo: Monicelli tendeva anche ad addentrarsi nel passato, in tempi lontani dove il suo stile cambiava in base alle esigenze, come ne “L’armata Brancaleone” con Vittorio Gassman, in cui il colpo di genio è quello di reinventare una lingua pseudo medievale per rendere più verosimili (ma anche più comici senza dubbio) i vari personaggi; oppure ne “La grande guerra” (candidato Oscar 1960), nel quale i due personaggi, interpretati magistralmente da Gassman e da Alberto Sordi, all’inizio del film hanno dei ruoli ben precisi (Gassman reticente alla guerra, Sordi volontario in trincea), che attraverso una serie di rocamboleschi avvenimenti, verranno tragicamente capovolti, con una tinta di voluto o involontario eroismo patriottico.

Il suo genio non si fermava solo a questo: Monicelli ha saputo dare a molti dei suoi personaggi una caratteristica speciale, che si può definire “l’esorcizzazione della morte”; anzi lui stesso suicidandosi a novantacinque anni è diventato paradossalmente un personaggio da film di Monicelli. I suoi personaggi più conosciuti, come la cinquina di goliardici di mezza età della trilogia-capolavoro “Amici miei” o come “Il marchese del Grillo” interpretato sempre dal suo attore-feticcio Sordi, danno senso alla loro vita non pensando alla morte, ma vivendo la vita come “zingari”, alla giornata, non prendendosi mai troppo sul serio e allontanando la morte, quasi prendendola in giro. E sebbene questi personaggi fossero tremendamente cinici, in loro risiedeva quelle che sono le vere forze dello stile monicelliano: l’amarezza e il disincanto; quella che segue le vicende del conte Mascetti in “Amici miei”, quella che diventa brutalità e vendetta nell’incredibile Alberto Sordi de “Un borghese piccolo piccolo”, o ancora quella che in realtà diventa malinconia e umanità nei due protagonisti di “Guardie e ladri”.

La morte di Mario Monicelli non segna la fine di un’epoca, segna proprio la fine di un cinema che non ci sarà più. Un cinema che sapeva far ridere con la semplicità dei suoi personaggi e delle sue storie, e tramite la semplicità raggiungere la mente ed il cuore dello spettatore. Ed insieme alla morte di Leslie Nielsen, scompare quella parte genuina e sempre rimpianta del cinema ancora capace di farci ridere, senza volgarità, senza intellettualismi. Solo ridere. Dio solo sa quanto ne avremmo bisogno, in questo momento.


“Cos’è il genio? È fantasia, intuizione, decisione e velocità di esecuzione!” (Il Perozzi in “Amici miei”)

Come vorrei che venisse fuori un funeralone da fargli prendere un colpo a tutti e due quelli lì! E migliaia di persone, tutte a piangere, e corone, telegrammi, bande, bandiere, puttane, militari…” (Il Melandri in “Amici miei”)


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