Mentre la staffetta antiviolenza dellUdi fa tappa a Catania, Step1 intervista Alina Marazzi, regista di Unora sola ti vorrei e Vogliamo anche le rose: racconti per immagini della condizione femminile di un tempo e delle lotte per il diritto a un altro futuro- Da Niscemi a Brescia contro il femminicidio
Non di solo pane vivono le donne
Milano è innevata e al telefono Alina Marazzi sussurra ‹‹Quant’è bella›› con voce dolce e pacata; appena poche parole di presentazione e dicendoci ‹‹un attimo›› si discosta dalla cornetta. Una vocina in lontananza: è Teresa, la figlioletta di cinque anni, ignara, di certo, della drammatica storia della nonna, Liseli Hoepli morta suicida a 33 anni, a cui Alina ha dedicato il coinvolgente ritratto “Un’ora sola ti vorrei”. Con attorno il silenzio della neve di Milano, la regista ci racconta le sue “rose” ovvero le sue idee e i suoi ricordi – come fossero petali che isolati uno ad uno non permettono la normale composizione di quel nucleo: di affetti ed esperienze – di cui la vita è ragion d’essere.
Il concetto di mente, attraverso il corpo femminile, crediamo sia uno dei fili rossi che contraddistinguono la sua poetica. Mentre in “Un’ora sola ti vorrei” Alina Marazzi si avvicina alla conoscenza di sé stessa attraverso la mappa della madre; in “Per sempre” guarda e osserva il corpo dall’esterno: un “corpo” femminile “totalmente-altro” come quello delle suore; con “Vogliamo anche le rose” infine la film-maker si immerge nella plurima valenza semantica di “mente” e “corpo” tracciata dai cambiamenti portati dalla libertà sessuale e dal movimento femminista.
Nella storia di tua madre ha influito non poco tuo nonno con il quale si scontrò tanto silenziosamente da ammalarsi di “sindrome depressiva di auto-svalutazione e di colpa”. Invece, com’è stato il rapporto con tuo padre?
‹‹Mio padre, Antonio, si è comportato bene, come tutti i singoli che fanno da entrambi i genitori. Io e mio fratello eravamo piccoli e lui ci ha cresciuti››.
Non è un caso che nel suo diario Liseli abbia scritto: “Il senso della mia prigione è dovuto a tutti gli ammaestramenti di cui mio padre ha puntellato la mia crescita e con cui cerca ancora di inculcarmi… di cui io nel profondo mi ribello, ma finora mai liberamente” […] “Mi chiedo se merito di avere Antonio e i bambini […] “Tu, Antonio, per me hai inventato l’amore, e tutto quello che ti potrò dare non te lo darò nemmeno perché sarà tuo subito” […]. Se non avessi letto il diario di tua mamma ne avresti avuto la stessa idea?
‹‹Diciamo che prima non sapevo proprio nulla di lei e quindi leggere le sue cose mi ha permesso di conoscerla››.
“Un’ora sola ti vorrei” è usato in corsi di psicoterapia. Perché?
‹‹Molti psicologi affermano che identificarsi in una storia (eternamente attuale, ndr) e scoprire di non essere i soli ad aver vissuto quel trauma, a volte, alimenta la speranza di superarlo››.
Con “Vogliamo anche le rose” si passa ad un racconto corale, un po’ un’esplosione dell’affermazione femminile collettiva. Da dove nasce l’esigenza di documentarlo?
‹‹Questo salto da un vissuto a diverse voci era nelle mie intenzioni sin dall’inizio, volendo raccontare il decennio degli anni ’70 e tutto quello che ne ha comportato il movimento femminista: un riconoscersi l’uno nell’altro››.
Attraverso i tre diari di vita – di Anita, Teresa e Valentina – parli in modo trasversale del movimento…
‹‹Infatti, nell’economia del racconto le ricerche sono incentrate non tanto sull’approfondimento del movimento del ’68 quanto sul trattare il primo momento di rottura con la generazione precedente (da parte delle donne e dei giovani in genere) e con gli schemi tradizionali per approdare al movimento femminista››.
Che retaggio pensi ne sia rimasto?
‹‹Nell’ottobre 2008, i primi giorni in cui l’Università “La Sapienza” è stata occupata, mi hanno invitata a fare una lezione con proiezione del film: entrando in questo luogo vivace e abbastanza in movimento ho visto delle corrispondenze; anche le immagini della manifestazione di piazza Navona mi hanno ricordato gli scontri di Campo dei fiori del ’77. Le ricorrenze ci sono, senz’altro, ma l’idea del futuro è diversa: allora si volevano gettare nuove basi, adesso mi sembra proprio che ci sia un’idea precaria di futuro, costellata dalla paura di costruire››.
Quelli del ‘68 erano anni molto più ideologici?
‹‹Sì. Ora la pratica politica che va aldilà di una appartenenza ideologica (molti giovani non si dichiarano schierati), secondo me, è un’eredità della politica nata prima di tutto all’interno dei gruppi femministi, che erano molto più trasversali, perché ciò che il femminismo ha fatto è stato inventare un tipo di lavoro politico che andava oltre l’ideologia››.
Ma la libertà oggi è sinonimo di democrazia, altruismo…?
‹‹Diciamo che sicuramente oggi si può vivere in maniera più libera e disinvolta ciò che una volta si scontrava con le pressioni e le convenzioni sociali. Forse però ci vorrà ancora un po’ di tempo prima che le persone arrivino tutte a vivere in maniera armoniosa le loro relazioni››.
In fondo è ciò che sognava tua madre e che sperano i giovani di oggi. Lei adorava – ricorre nel film – le giornate “Cielo sereno con vento” simbolo, forse, di libertà?
‹‹Sì le preferisco anch’io, peccato che a Milano…››.
Quali film del panorama cinematografico di oggi prediligi?
‹‹Scelgo sempre i documentari, le rassegne, con un formato abbastanza anomalo. Ma per la fiction ho sempre apprezzato Garrone, perché forse sono i film che comunicano lo sguardo dell’autore quelli che trovo più coinvolgenti››.
Il tuo prossimo lavoro?
‹‹Beh, intanto faccio un altro figlio. E’ un maschietto che nascerà tra qualche settimana››.
Ah, quindi che voglia ti verrebbe se parlassimo di cibo?
‹‹Di solito mi butto sul salato››.
Nella foto: Liseli Hoepli, madre di Alina Marazzi