Provvedimento definitivo per Giuseppe Amedero Arcerito, già condannato per associazione mafiosa e in Appello per l'omicidio di Alfredo Campisi. Il medico compare nelle principali indagini su Cosa Nostra del Comune nisseno, dove continua a vivere, gravato solo dall'obbligo di dimora
Niscemi, confisca per il dentista di Cosa Nostra Terreni, capannoni e fabbricati passano allo Stato
Passano definitivamente allo Stato i beni confiscati al dentista di Niscemi Giuseppe Amedeo Arcerito. Due fabbricati, 15 terreni e 34 capannoni, un’auto e tre mezzi agricoli, tutti ricadenti nel Comune di Niscemi, per un valore complessivo di circa 5 milioni e 200mila euro. A eseguire il provvedimento sono stati gli agenti della polizia e i militari della Guardia di finanza di Caltanissetta. Il decreto di confisca è diventato irrevocabile lo scorso 12 settembre, dopo la sentenza della Cassazione.
Il 64enne medico compare nelle principali indagini su Cosa Nostra a Niscemi. È stato condannato a tre anni per associazione mafiosa, per vari episodi di estorsioni ed altro e secondo gli inquirenti ha avuto un ruolo di primo piano nell’organizzazione dell’associazione criminale. È coinvolto nel processo per l’omicidio di Alfredo Campisi, giovane esponente della mafia niscemese ucciso nel 1996. Per questo delitto Arcerito è stato condannato in Appello all’ergastolo nel giugno del 2016. Al momento, però, risulta sottoposto soltanto alla misura cautelare dell’obbligo di dimora a Niscemi, con quotidiana presentazione alla polizia giudiziaria e di permanenza in casa nelle ore serali. Al termine di questa misura interdittiva, Arcerito dovrà essere sottoposto alla sorveglianza speciale, disposta dal Tribunale di Caltanissetta.
I beni adesso definitivamente confiscati risultano essere intestati allo stesso dentista, alla sorella Rosaria e al marito, Calogero La Rosa, ed erano stati sottoposti a sequestro nel gennaio del 2014, ai sensi della normativa antimafia. Secondo quanto ricostruito dagli investigatori, Arcerito affittava i capannoni ad altre società. Le indagini hanno permesso di accertare che il medico non aveva la capacità economica per acquisire il patrimonio confiscato, «se non – specifica la Finanza – ricorrendo a risorse alternative illecite e di verificare la sproporzione tra i redditi dichiarati rispetto al valore dei beni acquistati».