Quarantasei anni, tre ernie al disco, sciatica e cervicale. Malgrado gli acciacchi, continua instancabile a fare su e giù, con il pozzetto per le bibite su una spalla e una ciotola di cocco in mano. «Aspetto un lavoro dallo Stato da una vita, nell'attesa meglio darsi da fare»
Nino, da 20 anni ambulante sulla spiaggia di Magaggiari «C’ho un sacco di dolori, ma meglio di andare a rubare»
Prima della moda dei lidi che distinguono i bagnanti per categorie e di quella di lettini, ombrelloni e spritz tutti uguali, le parentesi di ristoro a mare non erano che un pezzo di cocco fresco, una bibita, un ghiacciolo o, per i più coraggiosi e tradizionalisti, una pollanca fumante da mangiare rigorosamente sulla spiaggia guardando il mare. Piccoli privilegi che ti raggiungono e si fermano lì, a pochi metri dal telo che hai appena steso per prendere un po’ di sole. Ma chi glielo fa fare a questi uomini, abbronzatissimi quando ancora l’estate non è neppure ufficialmente entrata e tenaci come pochi? Chi sono, che racconti hanno, cosa ci fanno lì su quella stessa spiaggia dove sei tu, a servire e riverire bagnante dopo bagnante? Ognuno ha la sua storia, se glielo chiedi: c’è chi lo ha visto fare per anni al proprio padre e prima ancora al proprio nonno, tradizioni di famiglia tramandate per generazioni. C’è chi non riesce a trovare un lavoro stabile e perciò, quando arriva l’estate, si inventa un mestiere che sa di poter fare per quasi quattro mesi. «Sono su questa spiaggia ogni anno, non salto nemmeno un’estate. Non la salto da vent’anni ormai».
Nino fa su e giù per la spiaggia di Magaggiari a Cinisi praticamente da una vita. Quando le temperature iniziano a salire e ci si prepara per la stagione estiva, lui sa già che dovrà armarsi di buona volontà e tanta pazienza. Una preparazione psicologica, oltre che fisica, indispensabile, specie per riuscire a ignorare il sole bollente sulla pelle e il richiamo del mare fresco a due passi. Ma perché accollarsi un’estate simile? «Ho una famiglia da mantenere, una moglie e due figli, e non ho nessun altro lavoro. A parte qualcosa di saltuario, ma nulla di stabile, di duraturo. Non c’è praticamente niente», racconta, quasi imbarazzato. «Faccio qualsiasi lavoro, dalla vendita di cose usate ai lavoretti da muratore o da giardiniere, quello che c’è – dice -. Ci sono periodi in cui riesco a fare anche l’assicurazione nel furgone, allora lo sfrutto, ma in altri momenti non ce la faccio. In passato me lo hanno anche sequestrato infatti, non ci posso vendere le cose stando fermo per la strada». D’inverno, però, le occasioni per qualche lavoretto sembrano più variegate.
Con l’arrivo dell’estate, invece, l’unica alternativa che puntualmente viene a bussare alla sua porta è quella: fare avanti e indietro da giugno a settembre lungo la spiaggia di Magaggiari, per servire ai bagnanti accaldati un po’ di cocco fresco e qualche bibita. «Lo faccio finché potrò, perché c’ho un sacco di dolori», rivela. Ha 46 anni, ma con quella pelle già a inizio stagione così scurita dal sole e un viso che rivela le sofferenze del corpo, sembra averne quasi dieci di più. «Arrivo qui di mattina presto e stacco solo intorno alle 18, dipende dalle giornate». Una doccia al volo e poi a letto, distrutto, dove pensare a ricaricarsi in attesa che cominci una nuova massacrante giornata sotto il sole. E il reddito di cittadinanza? «Non lo prendo, io nemmeno l’ho chiesto, anche se spesso i carabinieri che mi fermano dubitano un po’ e all’inizio pensano tutti che io percepisca qualcosa continuando a lavorare, ma se prendessi questi soldi chi me lo farebbe fare di spezzarmi tutti i giorni la schiena in spiaggia sotto un sole bollente?», domanda retorico.
«A prescindere da questo, c’è chi mi fa problemi ogni anno per quello che faccio – torna a dire -. Come dargli torto? Loro devono fare il loro mestiere, confido sempre che abbiano una predisposizione d’animo magari diversa, un po’ più tollerante o sensibile verso chi non sa nemmeno come pagare la bolletta della luce. Prima raccoglievo ferro vecchio per le strade, non lo posso fare più, ci vuole il formulare, il mezzo sempre disponibile, io tutti questi soldi non li ho, anche se ho depositato la licenza». A casa lo aspetta con pazienza una moglie stanca di vederlo tornare ogni giorno con qualche acciacco in più. «La mia famiglia soffre molto a vedermi fare questo tutte le estati, ma se lavoro non ce n’è che cosa possiamo farci? Ce lo inventiamo, in un certo senso. Dovrei rubare e farmi arrestare? Non penso sia la soluzione – dice Nino -. Faccio questo, piuttosto, in maniera onesta, tenendomi le mie tre ernie al disco, la sciatica e la cervicale». L’estate per lui è ben lontana dall’essere una parentesi di relax e di vacanze, insomma. «Io il mare neanche lo vedo, per me è come se non ci fosse, come se fosse invisibile».
Ma come si vede fra dieci anni, Nino? «Facendo i calcoli avrò 56 anni, mi vedo e non mi vedo – dice sorridendo -. Non sarò vecchiotto, però l’età si farà sentire ulteriormente, penso che mi sentirò ancora più a disagio, vado dove trovo qualcosa». E la politica? Ci crede, si fida, spera possa cambiare la sua situazione attuale di estrema precarietà? «Non lo so, stanno dando questo reddito di cittadinanza, è vero, è qualcosa, quanti soldi sono? Per alcuni 800 euro? E che cosa sono a fronte delle spese di una famiglia, alle spese di una vita? – si domanda -. L’idea di trovare poi un lavoro è diversa, può funzionare, ma è tutta da vedere. Io intanto mi devo arrangiare spesso con i 290 euro di pensione d’invalidità che percepisco, e non è semplice. Ci sono cose che, per alcune mie condizioni fisiche, non potrò mai fare, quindi prendo quello che viene di volta in volta, tirando avanti. Aspetto un lavoro dallo Stato da una vita, ho il cento per cento d’invalidità e sono qui a mare che vendo il cocco, come devo campare? Nell’attesa, sempre meglio che mi dia da fare».
E ride Nino, è questo che più di tutto colpisce di lui. Quella dignità enorme che trasuda dal suo viso felice, malgrado tutto. Colpisce più di quel cappellino sgangherato e sporco di salsedine che tiene sulla testa, più di quegli occhi semi chiusi per il troppo sole, più del suo costume verde acceso che permette di individuarlo subito, in mezzo al tappeto di gente che si impossessa della spiaggia. La stessa che da quel sorriso si lascia puntualmente incantare, non potendo fare a meno di scambiare con lui qualche chiacchiera, offrendogli ristoro sotto l’ombrellone. Ma si fa subito tardi, qualcuno da lontano reclama i suoi prodotti, si arma di nuovo del suo migliore sorriso e se ne va, pronto a offrire lo stesso incrollabile buon umore ad ogni bagnante che lo fermerà ancora, fino a settembre.