Ogni mattina ad Acireale, Aci Catena, Adrano e Paternò centinaia di lavoratori stranieri irregolari, anche con meno di 15 anni, vengono spediti a lavorare nei campi per pochi euro da una vera «organizzazione criminale». A testimoniarlo le immagini raccolte da Massimo Malerba della Confederazione, che ha collaborato con il regista Riccardo Napoli e i sindacalisti della Flai Alfio Mannino e Pino Mandrà. Guarda il trailer
Nelle campagne catanesi sfruttati anche i bambini La denuncia di Terranera, videoinchiesta della Cgil
«Abbiamo ripreso bambini che andavano a lavorare, e altri chiusi dentro i furgoni, in attesa per ore dei genitori, nei campi a raccogliere arance». A parlare del lavoro nero nelle campagne del Catanese è Massimo Malerba, sindacalista della Cgil di Catania, che ha documentato in video un florido mercato dello sfruttamento «retto da una vera organizzazione criminale». Un progetto iniziato a settembre, con la raccolta delle olive alle pendici dell’Etna, e proseguito fino all’inizio del 2015, quando invece nella Piana di Catania si raccolgono soprattutto gli agrumi. Il lavoro è fatto soprattutto di immagini prese nelle piazze di Acireale, Aci Catena, Adrano e Paternò, dove già alle 5 del mattino uomini e donne, soprattutto stranieri irregolari, aspettano i furgoni che li porteranno in campagna. A decidere chi deve andare nei campi per 12 ore di lavoro pagate 30 euro «sono i caporali di nazionalità rumena, d’accordo con gli italiani», spiega Malerba. Le immagini sono adesso dentro Terranera, videoinchiesta di 23 minuti che verrà presentata il 12 marzo in anteprima a Catania, realizzata con il regista Riccardo Napoli e l’aiuto dei sindacalisti Alfio Mannino e Pino Mandrà, della Federazione dei lavoratori dell’agroindustria Flai, legata alla Cgil.
«La maggioranza dei lavoratori viene dalla Romania e dal Maghreb, e abbiamo conosciuto le loro storie grazie al lavoro di sindacato su strada che Alfio e Pino della Flai fanno quotidianamente. Proprio per questo il documentario si svolge non tanto nelle campagne, ma nelle piazze dove i caporali reclutano. Per ogni giornata di lavoro poi pretendono dai cinque ai 15 euro, a seconda di dove i lavoratori andranno a lavorare». Le piazze etnee funzionano infatti come dei veri e propri centri di smistamento, con uomini e donne spediti «nel Calatino, a Palagonia, a Scordia ma anche nel siracusano», spiega Malerba. Che sottolinea anche la portata penale di alcune immagini riprese, che verranno consegnate alle procure competenti. «Abbiamo scoperto bambini dai dieci ai 15 anni che vanno anche loro a lavorare nei campi, altri più piccoli chiusi per tutto il giorno in attesa nei furgoni, senza andare a scuola». La videoinchiesta ha fatto anche tappa a Vittoria: «Abbiamo intervistato Beniamino Sacco, il parroco che ha denunciato lo scandalo delle lavoratrici rumene costrette ad avere rapporti sessuali con caporali e titolari delle aziende agricole». E a parte «alcune zone dove la situazione è molto meno grave, come Biancavilla, possiamo dire che in tutta la Sicilia orientale il problema dello sfruttamento è identico», conclude Malerba.
«Possiamo affermare certamente che su due lavoratori nelle campagne, almeno uno è in nero», spiega Alfio Mannino, segretario provinciale Flai, che fornisce anche alcuni dati: «Su 230 rumeni che ci sono negli elenchi dei lavoratori a Paternò, 80 sono assunti per meno di dieci giornate, contro le 73 necessarie per accedere alle indennità con requisiti ridotti. E sempre negli elenchi della città – prosegue il sindacalista Flai – solo in sette provenienti dal Marocco sono registrate, quando solo in una azienda agricola che abbiamo visitato ce ne erano ben 43 provenienti dal Nord Africa. Una evasione contributiva evidente da parte delle aziende». Mannino lancia l’allarme anche per quanto riguarda i lavoratori siciliani: «Con la presenza massiccia del lavoro nero, il salario si abbassa per tutti: le paghe nette minime da 55 euro si sono ridotte a 40 euro». I dipendenti agricoli locali, più specializzati, continuano quindi a lavorare «solo in zone con colture particolari, come quelle dei limoni, che avviene ad esempio a Biancavilla o alcune aree dell’Acese». Da Vittoria a Pachino, passando per Cassibile, Scordia, Paternò ed Adrano e tutte le altre zone della Sicilia orientale dove sono presenti coltivazioni intensive, che comprendono anche pomodori e patata, basterebbe invece «utilizzare un sistema semplice pubblico di prenotazione. Lo stanno sperimentando in Puglia con buoni risultati. Ma anche lì solo a seguito di alcune inchieste giornalistiche che hanno smosso la situazione», riferisce Mannino. Che spiega anche come il fenomeno sia molto meno presente nella Sicilia occidentale, «perché le coltivazioni intensive sono presenti solo in alcune zone del Trapanese».
«Vorrei però che si vedesse la crisi dell’agricoltura nell’insieme – prosegue Mannino – Si tratta di un lavoro fisico, ed è quindi impensabile che si possa svolgere fino a 67 anni. Per questo ci facciamo promotori di una profonda riforma previdenziale, da affiancare al maggior controllo del territorio e un maggior incontro tra la richiesta di manodopera da parte delle aziende e del pubblico», conclude il sindacalista Flai.