Il presidente della Regione ha interpellato il ministero per il ritorno in Sicilia del reperto «trafugato» che si trova al museo imperiale di Vienna. «Non è stato rubato, ma ha seguito gli imperatori del sacro romano impero», dice la docente Lucia Arcifa a MeridioNews
Musumeci chiede la restituzione del manto di Ruggero II «Richiesta che lascia trasparire una visione provinciale»
Tutto frutto di un forte impulso campanilistico, oppure di un’improvvisa sete di conoscenza per fare riemergere l’identità e le origini storiche della Sicilia? Potrebbero essere tanti i motivi che stanno dietro alla richiesta avanzata, con una delibera di giunta, da Nello Musumeci. Il presidente della Regione, probabilmente volendo ripercorrere i fasti dell’antico parlamento di Sicilia, con il documento firmato il 17 maggio, ha chiesto il ritorno in Sicilia del mantello di Ruggero II d’Altavilla. L’elemento appartenuto al re che governò l’isola dal 1130 al 1154, attualmente esposto al museo al Weltliche Schatzkammer della Hofburg, il museo imperiale di Vienna. Nel documento non viene specificato se si tratta di un prestito o se di una restituzione definitiva, così come non vengono specificate le modalità di restituzione. Per il ritorno del mantello – tessuto nelle officine imperiali Thiraz di Palermo tra il 1133 e il 1134 – icona del potere che Ruggero II rivestiva nel sud della Penisola, Musumeci ha chiesto l’intervento del ministero della Cultura. Una proposta avanzata «tenendo conto dell’esigenza sociale generale, che richiede di attribuire un valore prioritario alla restituzione di quello che, alla luce della sua fondamentale importanza, presenta un carattere emblematico e insostituibile per il territorio dal quale è stato sottratto». Questo è un estratto della delibera che cerca di ripercorrere anche alcuni passaggi storici inserendo il mantello tra gli «oggetti preziosi che furono trafugati dal tesoro reale da Enrico VI (marito di Costanza di Altavilla, figlia postuma di Ruggero II, ndr)».
Reperti rimasti nella sede imperiale tedesca, adesso in Austria, che la Regione, dunque, rivorrebbe indietro dopo secoli. Musumeci, sempre nella delibera, fa riferimento al trattato di pace del 1918, in cui si prevedeva che, dopo la Prima guerra mondiale, «l’Austria dovesse restituire all’Italia le opere d’arte sottratte nel corso dei secoli». Una richiesta del manto di Ruggero sarebbe stata fatta qualche anno fa, ma non sarebbe stata accolta. All’iniziativa pensata da Musumeci, si contrappone il parere degli esperti. Per Lucia Arcifa, docente di Archeologia cristiana e medievale di Unict, «questa richiesta lascia trasparire una visione provinciale del valore degli oggetti – fa notare a MeridioNews – perché si limita a valorizzare il contesto di nascita del manto di Ruggero, ovvero la Sicilia, ma non tiene conto della storia complessa che lo ha caratterizzato dopo Ruggero, quando le insegne del regno normanno sono diventate le insegne imperiali nel contesto più ampio del sacro romano impero». Stando ad alcuni passaggi storici, dopo la morte di Ruggero II, il manto seguì le vicende imperiali legate alla successione, con Ernico VI che lasciò la moglie Costanza in Sicilia per trasferirsi provvisoriamente nella sede imperiale tedesca.
«La storia, almeno dagli elementi finora conosciuti, non parla di furto – sottolinea Arcifa – Con gli spostamenti di Enrico VI il manto è arrivato in Germania e, di conseguenza, è passato agli imperatori successivi. Pertanto farei molta attenzione a parlare di trafugamento». Il manto è largo 345 e lungo 146 centimetri, nella sua forma semicircolare raccoglie elementi greci bizantineggianti e arabi. Al centro, l’albero della vita con la figura del leone – simbolo araldico normanno – che scaccia un cammello. Ai margini è presente un’iscrizione, che testimonia l’anno di realizzazione. I ricami dorati vengono esaltati da uno sfondo rosso. Simbologie e materiali fanno capire la vicinanza di Ruggero II alla cultura orientale e agli arabi. Alcuni esperti, in passato, hanno anche messo in dubbio il luogo d’origine del manto. Tuttavia, l’iscrizione riporta che il lavoro è stato eseguito nella «fiorente officina reale, nella capitale di Sicilia», che ha fatto accertare come luogo di realizzazione quello di Palermo.
«Ci sono molte possibilità che sia stato realizzato a Palermo, dove c’erano degli opifici importanti. Si tratta di un reperto talmente intriso di valori simbolici che vuole esprimere un significato di ampio respiro – continua la docente – è stato il simbolo di una corte che man mano ha allargato i suoi domini verso nord» Nel 2005 il tesoro imperiale di origine siciliana, di cui fa parte il manto, che si trova a Vienna fu esposto in una mostra a Palermo, ma il mantello fu l’unico elemento a non comparire. Probabilmente per effetto di «una norma della costituzione austriaca, dopo il trafugamento di Norimberga da parte di Hitler, vieta che le insegne escano dai confini – spiega ancora Arcifa – Viene menzionato per la prima volta nei documenti nel 1246, ma è chiaro che, più che un trafugamento, direi si possa parlare di un reperto ormai cristallizzato negli avvenimenti della storia – conclude la docente – Volerlo riportare in Sicilia può far emergere un sentimento identitario, ma rischierebbe di ridurre l’importanza storica che il mantello rappresenta».