Musica celtica: Trinacria e Triskell

Magari qualcuno dirà che nel nostro Meridione non se ne vedono molti. Gli appassionati di cultura e musica celtica li trovi su, al nord, nelle regioni delle Alpi, dove verso il V secolo si insediarono le popolazioni dei Celti antichi che venivano dall’Europa centro-occidentale; o (al massimo) si può trovare qualche intenditore nell’Italia centrale, dove si spinsero alcuni gruppi isolati di Galli.

E mentre lì in quelle zone è storicamente accertato che queste popolazioni scorrazzassero qua e là, da noi al sud non ce n’è apparentemente traccia; di conseguenza non dovremmo risentire più di tanto dell’influenza del celtismo.

Eppure non è così. Esiste infatti un numero considerevole di “celtofili” in Sicilia; molto presto si avranno notizie di un gruppo di musica celtica della Facoltà di Lingue di Ragusa. E, notate bene, siamo nel Profondo Sud!

Ai giorni nostri la “musica celtica” non si può considerare una reminiscenza dell’antica musica suonata dai bardi, che si perde nella notte dei tempi. Oggi sarebbe meglio parlare di musica (meglio, musiche, poiché spesso differiscono sia a livello musicale sia a livello tematico) dei Paesi di area celtica (Irlanda, Scozia, Bretagna, Galizia); ma si preferisce usare un termine unico per accomunare le musiche tradizionali e folcloristiche di questi paesi.

Parliamo quindi di un genere essenzialmente popolare, che si collega molto spesso alla musica medievale e che, col tempo, ha conosciuto diverse evoluzioni, fino a creare alcuni tipi di sottogeneri: il più diffuso finora è quello della celtic fusion, caratterizzata dalla fusione di elementi tradizionali con strumenti moderni attuali della New Age o del Pop (Enya, Alan Stivell, Hevia, Loreena McKennitt sono i nomi degli artisti più conosciuti). Qquello che marchia a fuoco la musica celtica (in generale) è la sensazione su cui si struttura, che è un costante alternarsi di allegre danze, canti di gioia e arie malinconiche.

Questo tipo di musica che mescola tradizione e modernità ha un grandissimo riscontro soprattutto tra i giovani. Ciò fa tirare un sospiro di sollievo, perché dà la consapevolezza che in questo triste mondo decadente tutte le “immondizie musicali” che ci sommergono non sono ancora riuscite ad averla completamente vinta sulle nuove generazioni. Ragazzi che hanno una passione travolgente per il mondo celtico, che semplicemente amano ascoltare Loreena McKennit, che suonano da dilettanti o da professionisti musica tradizionale irlandese non si incontrano difficilmente.

Ed è qui che sorge la questione: un siciliano che suona musica celtica, che la vive, la sente propria, come viene considerato dal resto del mondo, ma soprattutto dai suoi connazionali?

Il più delle volte, è triste doverlo ammettere, negativamente. Alcuni lo metterebbero sullo stesso piano di un giapponese che canta “Vitti ‘na crozza”, tanto per fare un esempio. Spesso, infatti, mi sono sentita ripetere (anche da artisti rinomati) la stessa frase: “Ma che c’entrano i Celti con la Sicilia?”

In generale, il fatto di dedicarsi a musiche di origini diverse dalla propria (celtiche o altro) può essere giudicato una forma di rifiuto delle proprie radici, delle proprie tradizioni; insomma, un rifiuto della propria terra di origine, che alimenta la tendenza di tanti ragazzi ad espatriare, a cercare all’Estero la loro realizzazione.

Inoltre il celtismo, in Italia, è penalizzato ulteriormente dalla politica, che ne ha manipolato e distorto completamente il significato al punto di utilizzarlo per giustificare il campanilismo della Lega Nord. E questo non aiuta certamente…

Storicamente, è vero, non ci sono tracce di Celti in Sicilia come invece nell’Italia del Nord; ma c’è qualcosa di importante che non bisogna dimenticare: è innegabile il fatto che la nostra isola sia stata per tanto tempo punto di incontro di infinite culture, Greci, Etruschi, Arabi, Normanni, Francesi e Spagnoli (ricordiamo, tra le regioni celtiche, la Bretagna e la Galizia!)… e non è possibile che i Celti non siano approdati in un’isola dove si sono incontrate tutte le culture del mondo.

Sono la prima a difendere il valore del patrimonio culturale siciliano, di “Vitti ‘na crozza” e delle tarantelle, ma questo non significa necessariamente starsene coi paraocchi. Il crescente interesse dei giovani siciliani verso lingue e culture straniere è una prova che la nostra cara isola, in fondo, è sempre rimasta aperta verso nuove conoscenze, infrangendo le barriere tra le nazioni. Perché non cominciare a considerare la Sicilia sotto questo punto di vista?

Tra l’altro in Sicilia non è difficile incontrare segnali molto chiari dell’influenza delle popolazioni di origini celtiche: nelle zone di Messina, per esempio, esiste la “leggenda della Fata Morgana”, secondo cui Morgana, dopo aver condotto il fratello morente Artù ai piedi dell’Etna, si trasferisce in Sicilia tra l’Etna e lo stretto di Messina, dove i marinai non si avvicinano a causa delle forti tempeste, e costruisce un palazzo di cristallo.

Un segno ancora più evidente è la comunanza del simbolo del triscele. Il termine “triscele” viene dal greco tris-keles, “tre gambe”, e indica qualsiasi simbolo con tre protuberanze ed una triplice simmetria rotazionale; può raffigurare tre spirali intrecciate o un essere con tre gambe. Diversi paesi presentano stemmi o bandiere con un triscele; la Trinacria siciliana, emblema regionale, ne è un esempio. Il triscele con tre spirali (conosciuto come Triskell) è un’icona rappresentativa della cultura celtica: rappresenta l’evoluzione e la crescita, la ciclicità cosmica, manifesta il principio e la fine di tutte le cose. Tra i druidi simbolizzava la trinità Passato, Presente e Futuro.

Il messaggio è quello di riuscire a cogliere questi segnali, di capirne il valore, di modo che, nell’Europa del XXI secolo, vengano superati i confini che chiudono le menti degli uomini nei loro gusci di calcare e di egoismo e si riesca ad arrivare ad essere “cittadini del mondo”. E tanto meglio se la musica può contribuire a creare le basi di tutto ciò.


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