Il taglio del nastro dell’esposizione catanese di trecento reperti archeologici del Museo Egizio di Torino non è una questione di settimane. La comunicazione di Palazzo degli elefanti è piuttosto precisa nello scandire i tempi: ci vorranno tre o quattro mesi per completare i lavori di riadattamento dell’ex convento dei padri Crociferi. Avviato nel 2011 – con 2,5 milioni di euro della Protezione civile regionale – sotto l’egida dell’amministrazione guidata da Raffaele Stancanelli, il processo di restauro dell’edificio è poi passato da un secondo finanziamento, da circa un milione, fornito dalla Regione nel febbraio 2014, attraverso il Piano di azione e coesione per gli interventi di riqualificazione urbana. Gli uffici contano di chiudere questa partita «prima di Sant’Agata». Le prescrizioni dei tecnici della fondazione Museo Egizio avrebbero rallentato i lavori, la cui conclusione era prevista per il mese in corso. Ma qui il ritardo, più che alla ditta, compete al Comune, che ha per l’appunto atteso che i torinesi esprimessero delle osservazioni vincolanti che attengono alla conservazione dei reperti, alla forma e al funzionamento degli ambienti museali, compresa la temperatura dell’aria. Quanto all’apertura del museo vero e proprio, bisognerà attendere almeno un anno.
Quel che salta subito agli occhi è un deciso rallentamento del processo di «avvicinamento» con i vertici dell’Egizio torinese. Processo che già di per sé non si è rivelato sempre pianeggiante, tutt’altro. Un indizio, per così dire, è stato fornito dalla visita dell’ambasciatore egiziano Hisham Mohamed Mustafà Badr, avvenuta sei giorni fa. Al termine della quale l’amministrazione Pogliese ha distribuito un lungo comunicato. In cui si parla anche della succursale etnea del più importante museo piemontese, ma senza menzionarlo. Nelle nove righe di virgolettato dell’assessora alla Cultura Barbara Mirabella non si fa cenno all’Egizio o ai suoi dirigenti. L’operazione viene definita, un po’ freddamente, «un progetto che abbiamo trovato di un’esposizione di reperti egizi». Se, nel testo, la parola «Torino» non compare mai, la parola «ambasciatore» invece sì. Perché, nel corso del suo tour, Badr avrebbe fornito rassicurazioni «su nuove possibilità di attingere reperti di massimo livello anche nel museo nazionale d’Egitto». Ovvero quello del Cairo. Non è che per caso il rapporto con Torino sia stato soppiantato da una relazione diretta con la repubblica araba?
L’assessora Mirabella, sentita da MeridioNews, smentisce. Sebbene con molti «se» e molti «ma». «L’amicizia istituzionale con l’Egitto – spiega l’imprenditrice – ci dà la serenità di andare al di là dell’amicizia con il ministro (per i Beni culturali Dario Franceschini, ndr), che era l’unica cosa che garantiva una collezione. Non si lavora con le amicizie nella cultura, si lavora con la rete e la programmazione». La stoccata è di quelle dolorose, e i destinatari sono Enzo Bianco e Orazio Licandro, gli «amici» di Franceschini, che aveva provato a mettere in comunicazione l’Etna e la Mole. Ma la liaison torinese è dunque al capolinea? Oppure no? «Abbiamo re-iniziato un dialogo – puntualizza Mirabella – però con un grande senso di indagine per ciò che è stato già fatto. Per questo abbiamo preferito fare un passaggio con il ministero (oggi retto da Alberto Bonisoli, ndr). L’accordo con la fondazione Egizio non è in discussione – precisa l’assessora – ma il protocollo d’intesa firmato nel 2017 ha secondo noi delle lacune, che vogliamo verificare con il governo egiziano al fianco».
«Non capisco il senso di certe affermazioni – ribatte Orazio Licandro, ex assessore alla Cultura – Non si tratta affatto di rapporti personali, ma di atti pubblici, che sono di natura squisitamente impersonale. Detto questo, quell’operazione doveva già tradursi in atti concreti». Riguardo all’abboccamento della giunta Pogliese con il governo egiziano, Licandro si concede solo una battuta. «Noi – sorride – abbiamo fatto un accordo con il ministero, con la fondazione Museo Egizio e con la Soprintendenza di Torino. Se adesso la nuova amministrazione vuole fare un trattato estero con l’esecutivo egiziano, liberissimi di farlo». A Torino, invece, la voglia di scherzare è poca. Anzi, è poca anche la voglia di parlare. Sul rapporto con Catania e la ormai famigerata succursale, l’ufficio stampa del Museo Egizio si trincera dietro un inamovibile no comment. A qualcuno, in effetti, sfugge la parola «rallentamento». Ma questo lo si era capito già.
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