Movimento al bivio

Crede nel movimento in sé stesso, ma, pur con rammarico, non è ottimista sul futuro dell’Onda, Stefania Mazzone – docente di storia del pensiero politico alla Facoltà di Scienze Politiche di Catania – che afferma ‹‹Quando il movimento e la moltitudine non fanno uscire valori universali, le cose si fermano a un decreto… e ad un certo punto si fermano e basta››.
 
Professoressa Mazzone, cosa rappresenta l’Onda, quale posizione esprime?
‹‹Esprime molto di più che un intervento in Parlamento sulla “finanziaria Gelmini”, esprime “bios”, vita naturale, stravolgendo le definizioni storiche dei movimenti precedenti››.

Secondo lei c’è una “linea comune” o questa protesta è un’onda – come l’hanno definita alcuni – anomala?
‹‹L’Onda è una naturale e vitale conseguenza di un fenomeno tellurico importante; e mi sembra che non abbia alcuna “linea” ben delineata ma che sia profondamente “moltitudinaria”: ogni singolo individuo, cioè, ci sta dentro con le sue emozioni, il suo corpo, i suoi desideri… niente dogmi e sovrastrutture ideologiche: finalmente il diritto come bisogno!››. 
Serve, innanzitutto, valutare il “no” collettivo, comune, dalle multiformi motivazioni, come un’espressione politica degna e alta. Non solo di linee (e soluzioni) si tratta, ma di forze molecolari (le persone), trasversali, nomadi rispetto alla “casa” ideologia. I ragazzi “partono da sé”, segnando tragitti››.

Il tragitto del 24 ottobre, data della prima manifestazione cittadina degli Universitari?
‹‹Mi ha colpita la dinamica urbana del movimento degli studenti di Lettere… che correvano gioiosamente verso i colleghi di Scienze politiche in un tragitto, appunto, che ai miei tempi (noi eravamo incordonati come militari) sarebbe stato non “ortodosso“››.

E dalla Cittadella?
‹‹Gli studenti che venivano da là hanno “occupato”, nel senso letterale del termine, la metropolitana››.

Che lettura dà a tutto ciò?
‹‹Dalle loro espressioni ho capito che ciò che li faceva sentire forti non erano parole d’ordine e proclami, ma lo stare “insieme” in una battaglia e in un sistema che sempre più – parlo anche della riforma Berlinguer e seguenti – toglie loro spazi di socialità: pratica essenziale nell’età adulta!››.

E il mega-corteo del 30 ottobre?
‹‹La stessa dinamica, ma con proporzioni mastodontiche. E che felicità non conoscere tutti i partecipanti, come capita spesso qui a Catania!››.

Arriviamo al 14 novembre e all’occupazione del Rettorato. Il movimento cambia pelle?
‹‹Le battaglie si aprono sempre a due ipotesi: da una parte che vadano a crescere perché cresce la coscienza, la partecipazione, perché le lotte diventano di respiro internazionale; e dall’altra che diminuiscano perché iniziano le lezioni, gli esami, i ricatti a casa, che giocano sulla parte più vera e spontanea del movimento. Alla fine mi sembra che siano rimasti perlopiù i “mestieranti”, alle solite, e coloro che non hanno vissuto gli anni ’70 e che magari hanno voglia di un qualcosa che non hanno fatto››.

Tirando le somme fino ad ora?
‹‹Sono felice quando le iniziative nascono spontaneamente, ma smetto di esserlo quando un’occupazione diventa una specie di “scimmiottamento” degli anni ’70. Mi è sembrata un po’ una parodia, una messa in scena, delle occupazioni precedenti, con tanto di Rettore che ora – a differenza del ’68 – anziché chiamare la polizia fa entrare tutti tranquillamente al Rettorato, reputandoli talmente innocui da dire loro: “non vi preoccupate…”››.

La cosa non era seria?
‹‹Non voglio dire che una cosa è seria se c’è lo scontro ma lo è se chi la fa ne è convinto, ne è consapevole››.

Cioè sta dicendo che sono obsoleti questi strumenti?
‹‹Avevano un senso all’epoca ed erano spontanei, ma ora imitano alcune pratiche del ’68: così c’è qualcosa che non funziona molto bene››.

Il 14 sera, dunque, è stata una cosa ludica?
‹‹Sì purtroppo, da piazza Teatro Massimo al Rettorato – con proiezioni, cena e festa – e l’indomani c’erano quasi più striscioni che persone››.

Si può dire che il movimento stia capitolando?
‹‹Ho creduto e continuo a credere in questo movimento però bisogna anche rendersi conto che, purtroppo, sta volgendo ad un triste epilogo, naturale e prevedibile››.

Perché?
‹‹Era – ed è nelle forme in cui sopravvive – un movimento con obiettivi transeunti che non volevano cambiare il mondo, quando poi il movimento e la moltitudine non fanno uscire valori universali, le cose si fermano al decreto… e ad un certo punto si fermano e basta››.

Ma allora la cosa fondamentale qual è?
‹‹Che ci siano state persone che hanno preso in mano un pezzo della loro vita, che hanno riflettuto, che hanno parlato… Siamo sempre alla razionalità delle cose: si deve valutare il movimento per sé stesso e non per un probabile risultato; perché è ovvio e normale che non può averne uno e solo: il risultato istituzionale, non ci sarà dato che a scontrarsi sono due “pratiche” troppo diverse tra loro; al massimo l’istituzione concederà altre manifestazioni e adopererà piccoli aggiustamenti››.

Si perde sempre, insomma?
‹‹Non c’è vittoria, l’unica vittoria è il movimento stesso››.

Nessuna risposta tangibile, dunque, per i giovani e per la crisi economica?
‹‹Qualcosa però è cambiata nella loro vita: nel senso che questi ragazzi hanno vissuto un’esperienza collettiva e comunicativa straordinaria, di “comunismo reale”: giorno per giorno tutti insieme. Negri e Guattari nel libro “Verità nomadi” spiegano per esempio che il comunismo è quel movimento reale e non ciò a cui aspiriamo: è un insieme, di menti e di corpi che prendono coscienza, avente un fine in sé stesso››.

Banalmente viene da chiedersi ‘che ne sarà di noi’?
‹‹Questa generazione, che ha vissuto nell’Onda, secondo me avrà una marcia in più nel futuro››.

Un futuro comunque intaccato
‹‹Il futuro è intaccato dal sistema complessivo che non è solo la Gelmini o l’Italia ma che si chiama “Impero”, che sicuramente non è modificabile né da movimenti né da lotte armate››.


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