Monti, Napolitano e la rivincita dei ‘miglioristi’

In economia Mario Monti sostiene il mercato, le liberalizzazioni e il rigore dei conti pubblici Uno dei risultati più importanti della sua attività di ricerca in campo economico è il modello di Klein-Monti che descrive il comportamento di una banca in regime di monopolio. È stato il primo presidente del “Bruegel”, un think-tank, nato a Bruxelles nel 2005, composto e finanziato da 16 Stati membri dell’UE e 28 multinazionali.
Il modello di Klein-Monti (risultato di studi pubblicati nel 1971 e nel 1972) è un modello completo di comportamento di una banca in regime di monopolio. Si tratta, cioè, di un modello teorico che si propone di spiegare le modalità attraverso cui si determina l’equilibrio microeconomico delle banche (modello di comportamento), considerando scelte di ottimizzazione che riguardano tanto l’attivo quanto il passivo (modello completo).
All’interno della categoria dei modelli di comportamento delle banche tale modello risulta essere lo schema teorico maggiormente condiviso tra gli economisti, in particolare perché si basa sull’assunzione di monopolio nel mercato degli impieghi e nel mercato della raccolta (a differenza di altri modelli che ipotizzano la concorrenza perfetta).
È inoltre presidente europeo della Commissione Trilaterale, un gruppo di interesse di orientamento neoliberista fondato nel 1973 da David Rockefeller e membro del comitato direttivo del Gruppo Bilderberg. Dal 2005 è International Advisor per Goldman Sachs. Nel 2010, su incarico del Presidente della Commissione Europea, Barroso, ha redatto un libro bianco (Rapporto sul futuro del mercato unico) contenente misure per il completamento del mercato unico europeo“.
(fonte: Wikipedia)

 

Il “migliorismo”, come dice il termine stesso, sostiene il possibile miglioramento dall’interno, quando non l’accettazione, del capitalismo; questo attraverso una serie di graduali riforme e praticando una politica socialdemocratica, che non si opponga cioè in maniera violenta o conflittuale al capitalismo stesso.
Attualmente, i miglioristi, come la stragrande maggioranza degli ex Ds, fanno parte del Pd, divisi tra la corrente di Piero Fassino (già segretario dei Ds), e quella “Liberal” (erede principale della tradizione migliorista), guidata da Enrico Morando. Il Riformista, diretto da Antonio Polito fino alla sua elezione in Parlamento nelle file della Margherita il 13 aprile 2006, è il giornale considerato più vicino a quest’area oltre che al presidente DS Massimo D’Alema; vi ha collaborato fra l’altro Emanuele Macaluso che poi dal 1º maggio 2011 ne ha assunto la direzione.
Alcuni miglioristi minori, tra cui Massimo Ferlini, Lodovico Festa, Sergio Soave e Sandro Bondi, hanno aderito o sono stati vicini a Forza Italia”.
(fonte: Wikipedia)

L’elevazione del professore Mario Monti al rango di Senatore a vita onora l’Italia e dà conferma dell’acume di Giorgio Napolitano (esponente illustre  dei “miglioristi” del Pci)  ma, al tempo stesso, apre una deriva presidenzialista, seppur giustificata dall’emergenza economico finanziaria e dal fallimento della politica.
Ove il Partito democratico dovesse votare la fiducia  ad un governo Monti, si compirebbe la lunga transizione socialdemocratica del partito che fu di Berlinguer e l’acquisizione nel proprio Dna di elementi neo liberisti, accogliendo larga parte del programma della Bce e  sancendo, di fatto, il tramonto della funzione di soggetto leader del centro-sinistra, inteso come portatore delle istanze sociali prima che di quelle economiche.
Nella fase elettorale che prima o poi seguirebbe, fortemente condizionato da circa il 30 per cento di indecisi, si scatenerebbe l’effetto “meglio l’originale della fotocopia” e, paradossalmente, ciò favorirebbe il Pdl di Angelino Alfano che avrebbe inoltre, a differenza del Pd e di Idv, il vantaggio di allinearsi alla forte richiesta, che sale dal Paese, di leaders più giovani e, oltre ogni faziosità tipica della politica, indubbiamente più preparati e competenti. L’unico a contrastare Alfano sotto tale profilo potrebbe essere Niki Vendola che però, per la già citata scelta mutante del Pd, non vedrebbe mai nemmeno da lontano un’indicazione come candidato premier.
L’unica exit strategy è allora quella “meno strategica” di tutte. Restituire al popolo la sovranità della scelta della maggioranza di governo, definendo un quadro governativo che, pur costretto a scelte dolorose, avrà avuto dietro di sé il consapevole  consenso popolare. Se poi, da qui alla scelta del Capo dello Stato di sciogliere le Camere, si giungesse in pochi giorni (è assolutamente praticabile in poche ore) a varare la nuova legge elettorale che rinnovasse veramente la compagine parlamentare facendo pulizia in ogni schieramento di “sicofanti, nani e  ballerine”, la gratitudine degli italiani favorirebbe la partecipazione al voto a vantaggio, indubbio, di tutti gli schieramenti in campo.


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