Un sistema sì, ma un’associazione a delinquere no. Per la Cassazione, tra le accuse per cui processare Antonello Montante non ci può essere anche quella associativa perché i vari reati cosiddetti fine (la corruzione, il favoreggiamento, le rivelazioni di segreto d’ufficio e l’accesso abusivo al sistema informatico) sono tenuti insieme solo dalla figura dell’ex numero uno di Confindustria siciliana e non da altro. Sono state depositate le motivazioni alla base della decisione che la Suprema Corte ha preso lo scorso 21 novembre. Quest’ultima è stata chiamata a esprimersi dopo che la difesa di Montante ha impugnato il provvedimento con cui il Tribunale di Caltanissetta aveva confermato i domiciliari per l’imputato eccellente. I legali Giuseppe Panepinto e Carlo Taormina hanno sollevato presunti profili di illegittimità su tutti i capi di imputazione. La Cassazione li ha respinti uno per uno, tranne quello relativo al reato più importante: l’associazione a delinquere.
La difesa aveva obiettato che «Montante avrebbe partecipato a un unico programma, ossia quello politico istituzionale dei giovani industriali all’interno degli organismi di Confindustria Sicilia, inopinatamente trasformato “in un’articolata trama criminosa volta alla commissione di plurime fattispecie di reato”». E su questa base, gli avvocati rivendicavano «la totale mancanza di alcuna forma di struttura associativa criminale nonché l’assenza di collegamenti stabili tra i soggetti accusati», denunciando la mancanza di elementi indiziari che dimostrassero il legame di causa effetto «tra i vari fatti di reato contestati agli indagati e un comune programma criminoso».
La Cassazione ha sostanzialmente accolto questa tesi, sottolineando come non sia chiaro quale sia l’interesse comune tra i vari soggetti coinvolti nei reati. Perché, in pratica, l’ex comandante provinciale dell’Arma dei carabinieri di Caltanissetta Giuseppe D’Agata (accusato di avere fornito informazioni riservate a Montante) avrebbe dovuto concorrere in reati insieme all’ex comandante della Finanza di Caltanissetta Ettore Orfanello, visto che i due non avrebbero avuto interessi coincidenti?
Secondo la Procura e il Tribunale che ne ha accolto le istanze, questo legame va cercato «nell’attuazione del programma di espansione politica elaborato in seno a Confindustria locale», iniziato a metà anni 2000 e che aveva al centro Montante, e «finalizzato alla progressiva conquista di spazi di potere» a livello locale, regionale e nazionale. Un programma che «ha comportato la naturale presa di contatto con quanti erano deputati a garantire il rispetto della legalità sul territorio. Taluni di essi poi si sono prestati, sia pure per ragioni di tornaconto personale, a commettere illeciti».
«Se questo è il collante – obietta adesso la Cassazione – di ciò nessun concreto elemento è fornito. Non solo, ma l’indicazione di ragioni di tornaconto personale introduce una spiegazione alternativa, atta a legittimare una lettura diversa degli episodi criminosi». La Suprema Corte approfondisce ancora le criticità, spiegando che le varie condotte illecite contestate ai pubblici ufficiali «non sono segmenti che concorrono a un unico reato finale». Non sono ad esempio, «furto di mezzi, ricettazione e porto d’armi funzionali alla commissione di rapine». I reati di cui si parla – accesso abusivo a sistema informatico; rivelazione di segreti d’ufficio; corruzione per verifiche tributarie pilotate – «sono fattispecie del tutto autonome, unificate solo nella figura dell’odierno ricorrente (Montante, ndr) e dei suoi personali interessi».
Da qui, dunque, la richiesta al Tribunale del Riesame di Caltanissetta di fornire «una risposta adeguata ai salti logici e agli indistinti automatismi evidenziati». Il giudice ha dieci giorni di tempo da quando entra in possesso delle motivazioni della Cassazione. Le strade che si aprono sono adesso due: che formuli nuove argomentazioni insistendo sull’associazione a delinquere o che rinunci alla contestazione del reato. In ogni caso il processo dovrebbe rimanere a Caltanissetta.
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