La compagnia teatrale della sala Magma ha portato in scena la vita del celebre autore e attore francese. Sul palco ascesa e declino di un genio che non ha voluto piegarsi a compromessi, vivendo in rapporto simbiotico con la sua arte
Molière, o della libertà di parola
Un filo rosso ha unito molto spesso Francia e Russia. Marco Longo ed Emanuela Gutkowski ne hanno scelto uno particolare, quello che lega due figure importantissime della letteratura mondiale: Jean-Baptiste Poquelin, in arte Molière, e Michail Bulgakov sono stati due grandi scrittori accomunati da un comune destino di difesa della libertà d’espressione. Per lo spettacolo al teatro Magma gli autori si sono liberamente ispirati alle vite e alle opere dei due scrittori, con una pièce dal ritmo serrato, dinamica ed equilibrata.
Al centro della rappresentazione vi sono le quinte, quella parte inaccessibile ai più nella quale si crea la magia del teatro. Ad essere rappresentati non sono solo i luoghi nascosti del palco, ma anche la tavola imbandita di un maleducato Re Sole e consorte, la sede segreta di una setta religiosa e perfino un confessionale. Il sipario, dunque, diventa dinamico, serve a delimitare tempi, luoghi e azioni. In un solo colpo si eliminano le celebri unità aristoteliche, come se una tale rottura con il teatro classico fosse un omaggio al genio dirompente di Molière.
La scena si apre sul fantasma di una levatrice, la donna che per prima ha conosciuto uno degli uomini più grandi di Francia, Jean-Baptiste Poquelin. Molière si trova al punto più alto della carriera di autore e attore: dopo aver innalzato la commedia allo stesso livello di considerazione della più blasonata tragedia, si scontra con quanti ha messo alla berlina. C’è il conte guercio che è servito da modello per Dom Juan, ci sono le compagnie di attori che ha scalzato dai favori del re e i castigatori della Cabala. La sfida aperta ai tentativi moralizzatori di questa setta guidata dall’arcivescovo Charron – caratterizzato con modi di fare quasi diabolici da Giorgia Boscarino – viene lanciata con la prima rappresentazione del Tartuffe. Dopo alcuni anni di lotte tra l’autore parigino e i vertici della chiesa francese, Molière la spunta a caro prezzo: la commedia viene rappresentata in pubblico, ma viene accusato d’incesto in quanto la moglie Armande è forse la figlia avuta dall’amica e confidente Madeleine, interpretata con molta intensità da Alessandra Barbagallo.
È così che pian piano il Molière pimpante e gioioso delle prime scene si oppone a quello stanco, provato da anni di malattia e pene di ogni genere interpretato da Salvo Disca.
La rovina di Molière è causata da quell’inenarrabile voglia di raccontare il proprio tempo che lo mette contro tutti, dal Re alla sua stessa compagnia. Che fossero i vizi della borghesia o le ipocrisie della chiesa di un tempo, i dialoghi sferzanti di Jean-Baptiste Poquelin pungono tutt’ora le coscienze. E alla vista dell’uomo che muore sulla scena, durante una rappresentazione del Malato immaginario, non si può fare a meno di pensare alla vita di un uomo perseguitato per aver difeso fino alla morte – dinanzi a re e papi – il diritto ad esprimersi senza censure.
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