Il tribunale si è espresso sugli ex amministratori citati nella relazione che portò allo scioglimento del Comune. In molti casi il collegio ha accolto i rilievi delle difese, sottolineando che non ci sono elementi sufficienti per adottare la misura voluta. Leggi le singole posizioni
Misterbianco, Di Guardo e altri sette saranno candidabili Interdizione soltanto per ex vicesindaco Carmelo Santapaola
Otto su nove. Si chiude a favore delle difese la partita sull’incandidabilità degli amministratori di Misterbianco, citati nella relazione sullo scioglimento del Comune deciso a 2019 dal Consiglio dei ministri. A esprimersi è stata la prima sezione del tribunale civile di Catania. L’unico che non potrà partecipare alla prossima tornata elettorale è Carmelo Santapaola, l’ex vicesindaco arrestato, nel 2018, nel blitz antimafia Revolution Bet. Per tutti gli altri – a partire dall’ex sindaco Nino Di Guardo – le possibilità di riprovare da subito a fare ingresso al palazzo di città restano immutate. Il parere favorevole è stato espresso nei confronti dell’ex assessore Stefano Santagati, della ex presidente del Consiglio comunale Agata Pestoni, e dei consiglieri Domenico Caruso, Marco Corsaro, Andrea Riccardo La Spina, Andrea Rapisarda e Nunzio Santonocito. Di avviso diverso era stata l’Avvocatura dello Stato che, in rappresentanza del ministero degli Interni, aveva chiesto l’incandidabilità per tutti i politici coinvolti, mentre il pubblico ministero aveva chiesto la misura interdittiva soltanto per Santapaola e Di Guardo.
Queste le decisioni prese nei confronti dei singoli ex amministratori.
Antonino Di Guardo
Per il collegio, non ci sono elementi per sostenere che l’ex sindaco di Misterbianco sia stato influenzato nel proprio operato dalla criminalità organizzata. In tal senso il riferimento legato all’inchiesta Gorgoni, che ha portato a giudizio l‘ex dipendente comunale Orazio Condorelli, riguardante le proroghe al servizio di raccolta rifiuti concesse alla ditta Ef Servizi Ecologici, ritenuta sotto il controllo del clan Cappello, non sarebbe sufficiente. La difesa di Di Guardo ha infatti sottolineato come il primo cittadino sia rimasto fuori dall’inchiesta e soprattutto come le proroghe fossero state sottoscritte in una fase in cui l’interdittiva antimafia nei confronti della Ef doveva ancora essere emessa. I giudici hanno poi rimarcato come l’ulteriore proroga concessa all’impresa di Vincenzo Guglielmino fosse scaturita dalla momentanea indisponibilità della Dusty, la ditta che si era aggiudicata il servizio.
In merito, invece, alla scelta di intitolare una via ad Antonino Pinieri – ex dipendente comunale imparentato con Orazio Pino, esponente di spicco del clan Pulvirenti – il collegio ha sottolineato non si possono trarre conclusioni in merito a un’influenza della criminalità partendo dalle scelte fatte in materia di toponomastica. Inoltre, la difesa di Di Guardo ha sottolineato che Pino è diventato collaboratore di giustizia e dunque l’intitolazione non poteva essere vista come un omaggio alla mafia.
Carmelo Santapaola
L’ex vicesindaco sarà incandidabile. I giudici hanno rigettato le osservazioni della difesa di Santapaola, ricordando come il numero due di Di Guardo sia stato rinviato a giudizio per associazione mafiosa e trasferimento fraudolento di valori nell’ambito dell’inchiesta Revolution Bet. L’indagine ha portato alla luce i rapporti tra Santapaola, che a partire dal 2012 ha assunto le deleghe alla manutenzione, alle Attività produttive e allo Sport, e i Placenti, a cui è legato da un rapporto di parentela. A parlare dei favori che avrebbero ricevuto i cugini di Santapaola sono stati diversi collaboratori di giustizia, che hanno specificato come in cambio di voti l’ex assessore fosse a disposizione di affiliati mafiosi. A fronte di ciò, dunque, per il tribunale ci sono elementi concreti e univoci per ritenere che un’eventuale ricandidatura di Santapaola potrebbe «compromettere il buon andamento o l’imparzialità dell’amministrazione comunale».
Stefano Santagati
L’ex assessore era finito nella relazione sullo scioglimento per un arresto, risalente al 2001, per fatti violenti accaduti durante una partita di calcio e per i presunti favori che il Comune avrebbe fatto a una società di proprietà dei figli. Tuttavia, il collegio, sulla scorta degli atti prodotti dalla difesa, ha sottolineato come per la vicenda del 2001 Santagati sia stato assolto per non aver commesso il fatto. Mentre, per quanto riguarda le attività dell’impresa, i suoi figli sono usciti dalla compagine sociale in un’epoca in cui Santagati non aveva ruoli all’interno dell’amministrazione comunale.
Agata Pestoni
Nei confronti dell’ex presidente del Consiglio comunale, la valutazione riguardava il fatto di essere cugina di Giovanni Fabio La Spina, 35enne arrestato nel blitz antimafia Zeta, che ha portato in carcere diversi esponenti del clan Zuccaro. Il tribunale, però, ha specificato che il rapporto di parentela non è sufficiente per dedurre una qualche forma di condizionamento nell’attività politica all’interno dell’ente.
Andrea Riccardo La Spina
Anche nei confronti dell’ex consigliere vale il discorso fatto per Pestoni. L’essere padre di Giovanni Fabio La Spina non è sufficiente a mettere a rischio il buon andamento dell’attività amministrativa. Padre e figlio, infatti, non convivono dal 2006. Nei confronti dell’ex consigliere, le contestazioni erano anche altre: a partire dalla frequentazione di soggetti con pregiudicati per reati comuni e il possesso di un chiosco in cui sarebbe stato commesso un abuso edilizio per ampliarlo. Il chiosco è quello dove, a settembre del 2018, si tenne un concerto del cantante neomelodico Andrea Zeta, il figlio del boss ergastolano Maurizio Zuccaro. Tuttavia, per il collegio anche questi addebiti non configurano il profilo di incandidabilità perché le frequentazioni riguardano soggetti non condannati per mafia, sull’abuso edilizio pende ancora un ricorso mentre il concerto venne organizzato dopo avere chiesto e ottenuto tutte le aurotizzazioni necessarie.
Domenico Caruso
Il nome dell’ex consigliere era finito nella relazione sullo scioglimento perché segnalato, in tre circostanze tra il 1992 e il 2012, per reati di estorsione e traffico di droga. Tuttavia da questi fatti non sono mai scaturiti procedimenti penali a carico di Caruso e per questo non è stata accolta la richiesta di incandidabilità da parte dell’Avvocatura dello Stato.
Marco Corsaro
Il caso dell’esponente di Forza Italia era molto particolare. Negli atti dell’indagine Gisella, che portò in carcere esponenti del clan Nicotra di Misterbianco, conosciuti anche come Tuppi, finirono anche alcune telefonate, tra novembre del 2016 e marzo 2017, partite dall’utenza della segreteria politica di Corsaro e ricevute dalla moglie di Tony Nicotra, ritenuto esponente di spicco del clan. La difesa, tuttavia, ha sostenuto che quelle chiamate erano seguite alla trasmissione alla segretaria di Corsaro di un lungo elenco di nomi, riguardanti gli utenti del Caf, tra i quali appunto la famiglia Nicotra. Ciò però, per il collegio, non è sufficiente a determinare con certezza la consapevolezza di chi fossero gli interlocutori. Inoltre, hanno sottolineato i difensori di Corsaro, l’incontro con Nicotra non è mai avvenuto perché quest’ultimo era sottoposto a regime di sorveglianza speciale.
Andrea Rapisarda
Nella relazione della prefettura, accolta dal Consiglio dei ministri, si legge che il fratello dell’ex consigliere è stato segnalato per reati comuni, come il furto di energia elettrica. Troppo poco per determinare l’incandidabilità, così come l’essere stato controllato nel 2002 insieme a un pregiudicato mafioso.
Nunzio Santonocito
Per l’ex consigliere è valsa la stessa tesi difensiva utilizzata per Rapisarda. Santonocito, infatti, nel 2017 fu controllato insieme a un soggetto implicato in vicende riguardanti i reati di truffa, falso e concorso in associazione mafiosa. Da quest’ultima accusa, peraltro, l’uomo frequentato da Santonocito è stato assolto in via definitiva dalla Corte d’Appello di Catania.