A poco più di un anno da Out Of A Center Which Is Neither Dead Nor Alive, impressionante album di debutto, i Minsk tornano all'attacco con The Ritual Fires Of Abandonment, dirigendosi verso astratti lidi meditativi e ponendo in primo piano la costa più sepolcrale del loro stile. Benvenuti in un nuovo mantra.
Minsk – The Ritual Fires Of Abandonment
Minsk
In The Ritual Fires of Abandonment
Relapse
2007
Embers
White Wings
Mescaline Sunrise
The Orphans Of Piety
Circle Of Ashes
Ceremony Ek Stasis
Un senso di cupa trascendenza si dipana come magma che sgorga da una sorgiva di ossidiana. I fumi si addensano creando spirali circolari e parte il moto ascensionale. Alla seconda prova su lunga distanza i chicagoani Minsk (nelle cui file milita Sanford Parker, ex mentore dei mostruosi Buried At Sea, nonché produttore del panorama post-core della Windy City), dopo il claustrofobico Out Of A Center Which Is Neither Dead Nor Alive, sfornano l’opera che gente come Isis, Callisto e altri sono stati incapaci di edificare negli ultimi due/tre anni. Rielaborare la malvagità di Through Silver In Blood e gli incubi soffocanti di Souls At Zero dei Neurosis sembra un gioco da ragazzi per il four-piece statunitense.
L’ottica di lavoro però è diversa, ristruturata. Slabbrare il doom e spalmarlo in sentieri progressive, scavando un tortuoso letto che permetta alla musica di distendersi e procedere inarrestabile. Come assistere ad un conciliabolo tra Tool e Dead Can Dance che evocano gli spiriti, mentre i Neurosis sull’altare officiano i riti, la sofferenza umana qui è in primo piano, ed il mantra mira ad espiare ogni scoria, a purificare lo spirito dalle brutture del dolore fisico per raggiungere una sua dimensionalità in uno spazio astratto, superando il limbo dell’abbandono. La compattezza di The Ritual Fires Of Abandonment è enorme. Tre dei sei brani inclusi in scaletta sono suite, psicotici viaggi tra nebbie di elettroni, tribalismi percussivi che rimandano ad oscuri rituali, squarci metallici dalla spiccata possanza, giustapposizioni di echi e riverberi che si incrociano fitti, fiati che irrompono improvvisamente per apporre orpelli arabeggianti, melodie solenni e in perfetta linea con la profonda spiritualità del disco.
In tali coordinate si avviluppano Embers, The Orphans Of Piety e la superba Ceremony Ek Stasis, colossale compendio di chiusura. White Wings, coi suoi riff tesi e metallurgici ci trascina fin dentro le pozzanghere dello sludge-core coi suoi strangolanti rallentamenti, ma è invero una tormenta di torrenziale potenza. L’enorme monolite dei Minsk ci si staglia di fronte in tutta la sua imponente maestosità. Le nuove strade del post-metal progressivo passano da qui, è bene che lo sappiate. Non lasciatevi quindi scappare uno dei dischi più intensi degli ultimi anni.