Ultimo giorno al palazzo comunale per i 59 dipendenti raggiunti dall'obbligo di firma. Da oggi sono sospesi. Tra i 75 indagati c'è chi ammette «di aver sbagliato, ma sono le cose che fanno tutti», e chi rivendica il senso di responsabilità avuto nonostante «siamo senza carta, toner e bagni»
Milazzo, assenteisti tra rabbia e ammissioni di colpa «Ma nessuno parla delle condizioni in cui lavoriamo»
Da oggi 59 dipendenti del Comune di Milazzo accusati di assenteismo sono sospesi. Sono solo una parte, quella raggiunta anche dall’obbligo di firma, del gruppo di 75 indagati dalla Procura di Barcellona Pozzo di Gotto con l’accusa di truffa ai danni dello Stato. Secondo gli inquirenti hanno sommato oltre mille ore di assenza in orario di servizio per i più svariati motivi. Adesso, stando alla nuova normativa, rischiano fino al licenziamento, come già successo recentemente ad Acireale. «La loro sospensione durerà quanto la misura cautelare – spiega il sindaco Giovanni Formica – anche se avremo seri problemi, perché interi uffici saranno decimati, ma è il provvedimento previsto per legge».
Tira un’aria pesante all’interno del Palazzo comunale. Fino a ieri i 190 dipendenti che lavorano al municipio – solo una delle sei sedi dove è dislocato il personale, in totale 348 unità – hanno discusso del terremoto che ha scosso la cittadina messinese. Tutti insieme: quelli colpiti da misura cautelare, quelli indagati e chi è rimasto estraneo. «Se avessi potuto, oggi sarei andata anche io a firmare, perché ci sentiamo tutti indagati». Parole di una dipendente in regola, che sintetizza il sentimento comune a la gran parte dei lavoratori.
Gli indagati non negano le loro responsabilità, ma invitano a distinguere le varie posizioni. «Mi contestano di essere uscito per andare a cambiare il biglietto della sosta a pagamento dell’auto – attacca Mario Italiano, uno degli indagati e rappresentante sindacale -. Ma i miei genitori una cosa mi hanno lasciato: la dignità». Italiano racconta di voler denunciare l’insegnante della figlia che, dice, «l’altro giorno è arrivata in aula urlando “questa gente deve essere mandata a casa, nullafacente che ruba lo stipendio”. Mia figlia – continua il dipendente – si è sentita umiliata e le ha risposto invitando a non sputare sentenze senza valutare i singoli casi, e in cambio la professoressa l’ha buttata fuori dalla classe».
Tre, a detta degli investigatori, sono i casi più eclatanti: un dipendente che sarebbe andato ad allenare la squadra di basket in orario di servizio, un’altra che avrebbe fatto sedute di fisioterapia, un terzo trovato alla cassa dell’esercizio commerciale gestito dalla moglie anziché nel proprio ufficio comunale. «In generale – spiega Michele Milazzo, il capitano del locale comando della Guardia di Finanza che ha condotto le indagini – ci sono quattro tipologie di dipendenti tra i 190 che abbiamo monitorato: chi dava il badge a un collega per farselo timbrare, chi lo timbrava e si assentava, chi dichiarava di averlo perso e produceva delle autocertificazioni false in cui attestavano la loro presenza negli uffici. E infine – continua il militare – chi non è stato indagato, perché magari si assentava per pochi minuti, per una pausa caffè, ad esempio. I dipendenti per cui abbiamo riscontrato solo questi atteggiamenti, e non altri più gravi in aggiunta, non sono stati raggiunti da avviso di garanzia».
I diretti interessati si dividono tra rabbia e sospetti. Alcuni, in posizione minoritatia, temono che la mediaticità del caso possa essere stata voluta dalla Procura di Barcellona che, come ammesso dallo stesso Procuratore capo in conferenza stampa, rischia di essere ridimensionata. La maggior parte invece contrattacca, accusando l’amministrazione. «Questo ente – spiega una dipendente non indagata – ha già vissuto un dissesto e sta andando incontro a un altro. Nessuno parla delle condizioni in cui lavoriamo: non abbiamo avuto né carta, né toner, né carta igienica. Molti sono precari da anni. Ma ai cittadini abbiamo sempre cercato di dare risposte, arrampicandoci sugli specchi con grande senso di responsabilità e, molte volte, pagando anche di tasca nostra». «È l’amministrazione che avrebbe dovuto controllare, non la Finanza», afferma un’altra, che ha ricevuto l’avviso di garanzia e che prova a giustificarsi: «Non nego i miei errori, non sono cose belle ma nemmeno eclatanti, sono le stesse cose che hanno fatto tutti».
Parole a cui il sindaco replica duramente: «Se ci sono mancanze dell’amministrazione è giusto che i lavoratori, anche attraverso le organizzazioni sindacali, rivendichino i loro diritti, ma non ci può essere uno scambio. Il tema non può essere: se io non rivendico un diritto, ho diritto a non esercitare il mio dovere. Questo – conclude – non è consentito».