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Migranti, per il tribunale di Catania il decreto sui Paesi sicuri è illegittimo. E riecco il tormentone sulle «toghe rosse»

Una lista di Paesi sicuri «non esime il giudice all’obbligo di una verifica della compatibilità» di tale «designazione con il diritto dell’Unione europea» e «in Egitto ci sono gravi violazioni dei diritti umani» che «investono le libertà di un ordinamento democratico». Lo scrive il tribunale di Catania nel provvedimento con cui non ha convalidato il trattenimento disposto dal questore di Ragusa di un migrante arrivato dall’Egitto, che a Pozzallo ha chiesto lo status di rifugiato. «È la prima pronuncia di questo tipo dopo il decreto legge sui Paesi sicuri», commenta la legale del migrante, l’avvocata Rosa Emanuela Lo Faro. Decreto approvato dal governo dopo che il 18 ottobre 2024 il tribunale di Roma non aveva convalidato il fermo di 12 migranti detenuti nei centri in Albania. Secondo il giudice, i migranti trasportati dalla nave Libra della Marina militare italiana in Albania, non potevano essere inviati in un Paese che non può essere considerato sicuro in base ai criteri stabiliti dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea.

La decisione è del presidente della sezione Immigrazione del tribunale di Catania, Massimo Escher, che sottolinea la necessità, nel valutare il trattenimento, di esaminare la qualifica data all’Egitto, con il decreto legge del 23 ottobre 2024, che lo include «in una lista che non prevede alcuna eccezione, né per aree territoriali né per caratteristiche personali». Per il tribunale questa «qualificazione non esime il giudice dall’obbligo di verifica della compatibilità della designazione con il diritto dell’Unione europea, obbligo affermato in modo chiaro e senza riserve dalla Corte di giustizia europea nella sentenza della Gran Camera del 4 ottobre 2024». E l’Egitto, secondo il giudice, non è un Paese che abbia questi requisiti. «In Egitto – scrive il presidente Escher – esistono gravi violazioni di diritti umani che, in contrasto con il diritto europeo citato, persistono in maniera generale e costante e investono non soltanto ampie e indefinite categorie di persone (come dimostra l’inserimento tra le eccezioni della categoria dei difensori dei diritti umani, che individua l’esistenza di violazioni dei diritti di soggetti che agiscono per la stessa tutela dei diritti dell’uomo) ma anche il nucleo delle libertà fondamentali che connotano un ordinamento democratico e che dovrebbero costituire la cornice di riferimento in sui ci inserisce la nozione di Paese sicuro secondo la direttiva europea». «Il presidente Escher – osserva l’avvocata Lo Faro – spiega che il decreto non va applicato perché l’Egitto non è un paese sicuro per svariati motivi derivanti dalle schede per la determinazione del ministero degli Esteri, e, ancora una volta, afferma che in Italia il diritto di asilo è previsto dall’articolo 10 della Costituzione e nessuna legge ordinaria lo può scalfire». 

Nel suo provvedimento Escher cita l’alto numero di esecuzione di condanne a morte in Egitto, gli arresti senza mandato, le detenzioni per blasfemia ma anche le discriminazioni nei confronti di donne e minori le persecuzioni nei confronti delle persone LGBTQI+, oltre a torture e abusi da parte delle forze dell’ordine nei confronti degli oppositori del governo. Dopo che la decisione del presidente Escher è stata resa pubblica diversi esponenti del governo di centrodestra hanno lanciato invettive contro la magistratura, in un clima già rovente. E così viene riproposto il tormentone delle «toghe rosse», utilizzato spesso durante i processi all’ex presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. «Le toghe rosse tornano a colpire. È l’ennesima sentenza che dimostra come alcuni giudici ideologizzati vogliano arrogarsi il diritto di stabilire quale sia un Paese sicuro pur non avendo le informazioni necessarie per farlo, che invece possiede un Governo attraverso una serie di scambi con intelligence e organizzazioni internazionali», spiega in una nota il senatore Salvo Sallemi, vicecapogruppo di Fratelli d’Italia a palazzo Madama. Ancora più diretto il vicepresidente del Consiglio Matteo Salvini che ha bollato come «comunisti» i giudici che non applicano le leggi, nello specifico i decreti, approvati dal governo.


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