Migranti, trafficanti arrestati di nuovo a lavoro Il nostro incontro col braccio destro del capo

Mustafa, come lo chiameremo, offre un servizio impeccabile. Esaustivo nelle informazioni, disponibile e sorridente, nessuno direbbe mai che in realtà traffica essere umani. Ghanese, da sei anni a Catania, ci racconta che per vivere ha sempre fatto il tassista abusivo di migranti. Per lo più lungo la tratta Cara di Mineo-Catania e viceversa, ma anche per i profughi appena sbarcati in Sicilia che, dopo aver raggiunto il capoluogo etneo, cercano di scappare verso il nord. Per la precisione, secondo i magistrati, Mustafa è specializzato in clandestini e fa parte di quella rete criminale collegata ai trafficanti libici che fa proseguire il viaggio della speranza su gomma, dopo quello via mare. Tra gli arrestati ad aprile nell’ambito dell’indagine Glauco II della procura di Palermo, Mustafa oggi è libero – in attesa dell’eventuale processo – ed è tornato a lavorare accanto alla stazione di Catania. Gli chiediamo un passaggio fuori dalla Sicilia, magari a Bologna, per un amico clandestino. Lui, da uomo d’affari, ci consiglia di ridimensionare i nostri progetti. «Costa troppo, duemila euro». Ma, se proprio vogliamo, ci lascia i suoi recapiti telefonici per essere ricontattato dal nostro amico.

Gli stessi numeri di telefono riportati nell’ordinanza di arresto di quattro mesi fa. «Che nome segno?». «Mustafa», risponde, senza però nascondere la sua vera identità. Nonostante, sempre secondo i magistrati palermitani, sia il braccio destro di Asghedom Ghermay, fratello e collaboratore di Ermias Ghermay, colui che è ritenuto il capo dei trafficanti di esseri umani in Libia. E d’altronde in via don Luigi Sturzo si trovano gli stessi tassisti e spesso le stesse auto annotate nelle carte dell’indagine che mirava a fermare la seconda parte della tratta dei migranti. In realtà alla stazione di Catania, dopo l’intervento delle forze dell’ordine, non è cambiato niente. Accanto a Mustafa, c’è una donna. È la compagna di Asghedom, al momento in carcere. Seduta nel portabagagli aperto di un’auto, tiene d’occhio due bambini. Lei si occupa di procurare i viveri per i viaggi di tassisti e passeggeri. Tiene tutto nel cofano di un’altra macchina: lattine, bottiglie e porta vivande. All’interno delle comunità straniere a Catania si racconta che gestisca una specie di locanda abusiva con alcuni posti letto. Un luogo considerato sicuro dai profughi appena sbarcati in città, ma dove invece finiscono per ritrovarsi prigionieri, in attesa che dalle famiglie arrivino i soldi per proseguire il viaggio.

Perché, secondo l’ordinanza, è questo che fanno Mustafa e soci. Tutto parte di «un’associazione a delinquere transnazionale, operante tra il Centro Africa, i paesi del Magreb e l’Italia, prima, e il Nord Europa dopo». Ogni cellula ha un compito specifico. Quella di Catania – la principale in Italia – si occupa di organizzare «la logistica per l’allontanamento dal territorio italiano». Come nel caso del nostro amico, che aveva bisogno di allontanarsi dalla Sicilia senza incappare in controlli. «Non ha il permesso di soggiorno», spieghiamo. «Ah, ok – risponde Mustafa – Quando?». Per lui il viaggio può cominciare. Deve solo consultarsi in disparte con qualcuno per il prezzo. Forse parla con il cassiere del gruppo, detto il Rasta, anche lui arrestato ad aprile e oggi libero, di servizio alla stazione. «Costa troppo, duemila euro – dice Mustafa al suo ritorno, e ride anticipando la nostra reazione sorpresa – Mille euro li abbiamo solo di spese». In realtà il viaggio costa meno di 400 euro. «Una meta più vicina e meno cara?», proviamo a chiedere. «Napoli?», propone lui. «Non lo so, ci hai già portato altra gente?». «Sì». Siamo indecisi, ma Mustafa ci rassicura: «Facciamo così, dillo al tuo amico e fammi chiamare. Per telefono non parliamo di queste cose, ma prendiamo un appuntamento». Sorride, ci saluta e si allontana. Due clienti lo aspettano.


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