La Ong fotografa la gestione dei flussi migratori in Italia. Tra la mancata abolizione del reato di clandestinità e l'esperimento criticato degli hotspot. Che hanno portato a temere che «coloro che non avevano diritto alla ricollocazione potessero essere espulsi, senza che fosse concessa la possibilità di chiedere asilo»
Migranti, il rapporto 2015 di Amnesty International «In Sicilia espulsioni senza adeguate informazioni»
Mancata abolizione del reato di clandestinità, esperimento hotspot mal riuscito e, sullo sfondo, ancora morti. Troppi morti. Il rapporto 2015 di Amnesty International fotografa una situazione che, nel campo dell’accoglienza, vede l’Italia – e con essa l’Europa – ancora indietro nella gestione di un fenomeno che, anno dopo anno, continua a evolversi. Indipendentemente dai proclami e dalle lotte di principio. Parole che cedono il passo davanti ai numeri.
Secondo il rapporto dell’organizzazione internazionale per la difesa dei diritti umani, sono stati circa 2.900 i migranti che sono morti nel tentativo di attraversare il Mediterraneo, con un aumento significativo nei primi quattro mesi del 2015, dovuto alla sospensione della missione Mare Nostrum voluta dall’Unione europea, con il benestare dell’Italia. Al suo posto Triton, operazione coordinata dall’agenzia Frontex che, mirando perlopiù al monitoraggio dei confini nazionali, ha fatto venire meno l’aiuto al largo delle coste. Una misura corretta, poi, a metà anno. «A fine aprile, i governi europei hanno deciso di ripristinare il pattugliamento del Mediterraneo centrale – si legge nella relazione – con un miglioramento dell’operazione Triton, operazioni di salvataggio indipendenti da parte di singoli governi e l’attivazione di un’operazione militare per contrastare il traffico di esseri umani. Tali misure hanno portato alla drastica riduzione del numero di morti nei mesi successivi».
Altro punto critico, nella gestione dei flussi migratori, è rappresentato dagli hotspot. Nati con l’obiettivo di filtrare l’arrivo dei migranti, recependo le istanze di chi ha diritto a essere accolto in uno dei paesi europei, si sono trasformati presto in centri di poca accoglienza. Con appena 184 ricollocamenti registrati a fine anno. «Le prassi adottate negli hotspot rischiano di tradursi in una disapplicazione di regole e garanzie – continua il rapporto -. Le segnalazioni riguardano, tra l’altro, la mancata o insufficiente informativa resa al migrante appena sbarcato circa la possibilità di richiedere la protezione internazionale e la limitazione dell’accesso alle procedure di asilo in base alla sola nazionalità (in assenza di un’istruttoria personale)». Secondo Amnesty International, inoltre, con gli hotspot sarebbero aumentata la percentuale dei cosiddetti decreti di respingimento differiti nei quali «si ingiunge al migrante di lasciare il paese, senza fornire l’assistenza necessaria». Riscontrato anche «il rifiuto di alcune questure di esaminare le domande di asilo successivamente alla consegna di quest’ultimo».
In questo scenario, la Sicilia è la principale protagonista, ospitando cinque dei sei hotspot presenti in Italia. «È stata espressa la preoccupazione che richiedenti asilo e migranti potessero essere sottoposti a detenzione arbitraria e raccolta forzata delle impronte digitali – denuncia la Ong -. In Sicilia, le autorità hanno emesso ordini di espulsione per alcune persone al momento dell’arrivo, sollevando il timore che coloro che non avevano diritto alla ricollocazione potessero essere espulsi, senza che fosse loro precedentemente concessa la possibilità di chiedere asilo o di ottenere informazioni sui loro diritti».
Ultima nota dolente: lo stallo del governo davanti all’abolizione del reato di clandestinità. «Nonostante la volontà contraria del parlamento, esiste ancora il reato di ingresso e soggiorno illegale. Il governo – si legge – ha giustificato la mancata attuazione della delega ricevuta con la motivazione, francamente incredibile, che “gli italiani non capirebbero”, mettendo da parte – conclude Amnesty Internazionale – il fatto che i rappresentanti più autorevoli del potere giudiziario hanno detto che quella previsione non è solo inutile, ma addirittura dannosa».