Migranti: 421 sbarcano a Catania, 98 minorenni «Prigionieri in Libia, picchiati con i cavi elettrici»

È arrivata a Catania la nave Aquarius, di Sos Mediterranée e personale di Medici senza frontiere, con a bordo 421 migranti, compresi 98 minorenni. Sono stati tutti soccorsi nel mare Mediterraneo. All’ingresso nel porto di Catania e dopo l’attracco, i passeggeri, soprattutto donne, hanno intonato dei canti. Impossibile, per i giornalisti, accedere all’area in cui venivano eseguite le operazioni di riconoscimento: come d’abitudine, la stampa è stata tenuta a distanza, sul molo, con il solo permesso di riprendere le attività da lontano

Ieri sera, quando la nave era a 15 miglia dalla costa italiana, è intervenuta una motovedetta della guardia costiera di Siracusa che ha evacuato e trasferito d’urgenza un bimbo di tre anni, eritreo, che aveva convulsioni e crisi respiratorie. Con lui sono stati portati nel capoluogo aretuseo anche la madre e un fratello. Il bambino ha ricevuto le prime cure all’ospedale Umberto I, ma è stato subito dopo spostato alla Rianimazione pediatrica di un nosocomio di Messina. Per Sos Mediterranée quello che si è appena concluso è stato un weekend difficile. L’equipaggio dell’Aquarius, come riferisce la ong, venerdì è stato «testimone inerme» dell’intercettazione di diverse imbarcazioni in acque internazionali da parte della guardia costiera libica. La stessa che si sarebbe poi occupata di rimandare nel Paese africano i migranti. Secondo la ricostruzione della organizzazione non governativa, dopo avere notato due barche in pericolo in acque internazionali, sarebbe arrivato l’ordine di non procedere alle operazioni di salvataggio e recupero, poiché queste ultime affidate alle unità libiche. 

«Durante le quattro ore di stand-by le condizioni meteo sono peggiorate aumentando così il rischio di naufragio. Eravamo pronti a lanciare le operazioni di soccorso in ogni momento», spiega Nicola Stalla, coordinatore dei soccorsi per Sos Mediterranée. Parole alle quali si aggiungono quelle di Sophie Beau, cofondatrice e vice presidente di Sos Mediterranée: «È stato estremamente duro per i nostri team, costretti a osservare impotenti operazioni che conducono a rimandare in Libia persone che fuggono da quello che i sopravvissuti descrivono come un vero inferno».

Secondo le testimonianze raccolte a bordo dai volontari i sopravvissuti soccorsi sabato, e arrivati oggi, facevano parte di uno stesso gruppo detenuto per diversi mesi a Sabratha, poi di recente trasferito a Bani Walid, conosciuto per essere un centro nevralgico del traffico di esseri umani in Libia. «Eravamo tutti nella stessa prigione a Sabratha. Un mese fa, a causa della guerra, siamo stati separati in gruppi di 20 persone, caricati su dei furgoni e trasferiti a Bani Walid e poi ammassati in un’altra prigione dove abbiamo trascorso un mese. Ieri (il giorno prima del soccorso, ndr) siamo stati trasferiti in un altro posto, una spiaggia dove siamo stati costretti ad aspettare in pieno sole, senza né acqua né cibo. L’imbarcazione ha lasciato la Libia attorno alle 6 del mattino», ha raccontato un 26enne eritreo ai volontari. «Nelle prigioni venivamo picchiati con cavi elettrici. I libici non hanno umanità. Tutti noi eravamo proprietà dello stesso uomo, the boss. Nessuno paga lo stesso prezzo per il viaggio in mare. Alcuni hanno pagato mille dollari mentre un altro mi ha detto di averne pagati seimila», ha aggiunto lo stesso testimone.


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