Dopo la sparatoria all’esterno della discoteca Ecs Dogana, Seby Miano – 27enne ritenuto vicino al clan Cappello – aveva deciso di inabissarsi evitando la scena pubblica. Per timore delle indagini della polizia ma anche delle ritorsioni del gruppo rivale, composto da giovani e giovanissimi che orbitano attorno al clan dei Carcagnusi. La strategia, però, avrebbe riguardato soltanto la scena pubblica: in privato Miano, conosciuto anche come Piripicchio, si sarebbe reso protagonista di ripetute violenze nei confronti della compagna e davanti alla figlia di pochi anni. Nel corso delle aggressioni, il 27enne non avrebbe esitato a puntare la pistola contro la donna, minacciandola di morte. I fatti sono ricostruiti nell’ordinanza di custodia cautelare che ha portato in carcere anche Giuseppe Patanè, Salvatore Napoli, Gabriele Gagliano e Gaetano Salici. Il primo, 25 anni, è colui che insieme a Miano è accusato di avere sparato all’esterno della discoteca; l’ultimo, invece, uno dei feriti. Dopo essere stato colpito all’altezza del ginocchio, Salici è riuscito a fuggire via e a nascondersi sotto un’auto di servizio della guardia di finanza, ferma a pochi passi dal comando provinciale. Meno prudente è stato invece un 17enne. Il ragazzo, anche lui nel mirino di Miano e Patanè, dopo essere stato ferito a un dito del piede, è rimasto nei pressi della discoteca, finendo poco dopo per essere sorpreso alle spalle e ferito a un gluteo e a una coscia dai colpi – 14 quelli in totale esplosi – sparati dagli scooter in fuga.
La cinquantina scarsa di pagine siglate dal gip rilasciano una fotografia in cui la violenza la fa da padrone. Una prima rissa che scatta, il 16 aprile, per l’opposizione a un’esibizione sul palco del cantante neomelodico passato al trap Niko Pandetta – anche lui indagato ma non arrestato per la mancanza di elementi utili a sostenere un diretto coinvolgimento nei fatti del 23 aprile e un’altra più violenta la settimana seguente e subito dopo la sparatoria. Picchi di aggressività che non si riescono ad acquietare neanche con il trattamento di favore a cui sembra fare cenno uno dei proprietari della discoteca: «Ma dovete anche litigare qui dentro, dopo che entrate omaggio, bevete gratis e non fate cantare un artista dove ci sono delle persone che hanno pagato per vederlo?», è la frase che l’uomo, parlando con la polizia, sostiene di avere detto ai due gruppi durante il primo faccia a faccia.
Stando a quanto ricostruito dagli inquirenti, l’arroganza e gli abusi avrebbero trovato terreno fertile anche tra le mura di casa. Il mese scorso, Miano avrebbe picchiato selvaggiamente la propria compagna, prendendola a calci in faccia. Al vaglio degli investigatori ci sono diverse intercettazioni in cui vengono raccontate le violenze, il cui culmine si sarebbe manifestato dopo che la giovane aveva deciso di allontanarsi da casa, in seguito alla scoperta di una bugia detta dal 27enne in merito alle proprie frequentazioni serali. Questione che avrebbero fatto andare su tutte le furie Miano, portandolo a distruggere e tentare di dare fuoco all’appartamento, a minacciare di morte anche i parenti, sparare contro l’auto di una familiare e a costringere la compagna e la figlia a trovare riparo altrove. Preoccupata dalla possibilità di fare rientro, ma anche incapace di denunciare alle forze dell’ordine ciò che – stando ai racconti fatte alle persone di fiducia – sarebbe stata costretta a subire con frequenza. «Un clima di violenza, terrore e prevaricazione», lo hanno definito i magistrati titolari dell’inchiesta. Convinta a rincasare con la promessa che non le sarebbe successo nulla, la compagna di Miano, scoperto che anche il 27enne sarebbe arrivato da lì a poco a casa, protesta con i familiari di lui. Che dal canto loro le avrebbero suggerito di pensare a pulire casa. Anche quella notte, secondo il racconto della donna, Miano avrebbe pestato la compagna: «Mi ha massacrata», è la frase registrata dagli inquirenti.
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