Spari contro la vetrina di un negozio in pieno giorno, estorsione, spaccio e regolamento di conti a colpi di bastone. Sono alcune delle accuse per cui i carabinieri di Messina hanno eseguito sei arresti, nell’ambito dell’operazione chiamata Far West. Si tratta di soggetti operanti in due diversi quartieri della città dello Stretto: Santa Lucia Sopra Contesse e la zona compresa tra Gazzi e Villaggio Aldisio. Destinatari del provvedimento sono stati i messinesi Maurizio Calabrò, 39enne, Santino Calabrò, 45enne, Giuseppe Giacoppo, 44enne, Alessandro La Boccetta, 37enne, Angelo Crisafi, 51enne, e il 29enne Beniamino Cirillo, gli ultimi due già in carcere.
Le indagini – condotte dai militari del nucleo operativo della Compagnia di Messina Sud e coordinata dai sostituti procuratori Liliana Todaro e Antonio Carchietti – sono partite nel 2014. Nell’ottobre di quell’anno è stato arrestato Crisafi per estorsione aggravata dal metodo mafioso a danno del titolare un noto negozio di abbigliamento di Tremestieri, nella zona Sud della città. Crisafi è stato condannato nel 2007 per aver fatto parte del clan di Santa Lucia Sopra Contesse.
Da quell’episodio gli investigatori sono andati avanti per ricostruire le dinamiche del gruppo di cui fa parte Crisafi. È emersa una redditizia gestione dello spaccio al dettaglio di droga. Due di loro, Maurizio Calabrò e Giuseppe Giacoppo, sarebbero anche i responsabili di azioni violente. A cominciare dall‘intimidazione contro la bottiglieria La Spagnola, di via Consolare Valeria a Messina, contro cui, il 21 novembre del 2014, i due hanno sparato diversi colpi di pistola. Spari sulla saracinesca dell’attività commerciale, esplosi alle 18.35, quando molta gente è per strada, mettendo quindi a rischio l’incolumità di molte persone. L’altro episodio incriminato risale alla sera del 24 febbraio 2014, quando Giacoppo ha esploso nove colpi di pistola contro l’abitazione del pregiudicato Domenico Musolino, al Villaggio Aldisio. Sono state le analisi del Ris di Messina a confermare che nei due episodi a sparare è stata la stessa arma.
Maurizio Calabrò, così come il fratello Santino, erano stati coinvolti un anno fa, nel gennaio del 2017, nell’operazione Doppia Sponda, accusati di traffico di droga. In particolare Calabrò, detto Militto, sarebbe stato il capo del gruppo che faceva arrivare gli stupefacenti dalla Calabria e da Catania. Nel capoluogo etneo, infatti, il 39enne poteva contare su un’amicizia di peso: quella di Sebastiano Sardo, detto Iano Occhiolino, 30enne ritenuto esponente del clan mafioso catanese Cappello-Bonaccorsi. Non un semplice rapporto tra fornitore e cliente, ma qualcosa di più, al punto che Calabrò ha un tatuaggio sul braccio dedicato all’amico. Sardo, poi, nel momento in cui il messinese è finito in carcere, si sarebbe occupato del suo sostentamento in carcere, arrivando a regalare un’auto alla compagna di Calabrò ma soprattutto a minacciarne il fratello maggiore, Santino, colpevole di non prendersi sufficientemente cura dell’amico.
Tornando all’ultima indagine, dalle intercettazioni è emerso come Giacoppo disponesse anche di altre armi che sarebbe stato pronto a utilizzare. In una circostanza, infatti, rivolgendosi ad un interlocutore a cui spiegava la sua perizia nel maneggio delle armi,avrebbe fornito la sua disponibilità per punire in maniera esemplare i presunti responsabili di un furto in abitazione.
Inoltre in altri casi gli indagati avrebbero riscosso in maniera violenta i crediti maturati per la vendita della droga. Crisafi, ad esempio, avrebbe pesantemente minacciato un uomo che aveva contratto un debito, minacciando di colpire anche i suoi familiari, e così facendolo cedere. Con un altro ragazzo, invece, Maurizio Calabrò sarebbe passato direttamente ai fatti, picchiandolo con un bastone per pretendere il pagamento di un debito. Non ottenendo il denaro, l’indagato ha minacciato anche il nonno del ragazzo che avrebbe subito saldato il debito, arrivando addirittura a consegnargli la propria auto, a titolo di garanzia, fino al completo saldo della somma.
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