Dopo Marisicilia e la Camera di commercio, è probabile che il capoluogo perderà la filiale dell'importante istituzione. Sarebbe l'unica città metropolitana a esserne privata. Oltre ai 17 lavoratori da trasferire si pone il problema dei controlli. La protesta dei sindacati
Messina, rischia di chiudere la Banca d’Italia Cgil: «Grave in una città ad alto tasso di usura»
«Abbiamo già perso Marisicilia (servizio della Marina militare ndr) e la Camera di commercio. Adesso vogliono eliminare pure la filiale della Banca d’Italia». Una città in smobilitazione, Messina, anche nelle parole di Antonio Mangraviti, segretario provinciale della Fiba Cisl. L’unica Città metropolitana destinata a rimanere senza un presidio della banca centrale nazionale. Per opporsi alla decisione, contenuta nel progetto di riforma delle rete territoriale di palazzo Koch, questa mattina, Fisac Cgil, Falbi – Confsal, Uilca e Fiba Cisl hanno protestato in piazza Cavallotti, insieme ai dipendenti. Unico sostegno da parte della politica, per il momento, quello del sindaco, Renato Accorinti.
L’esponente della Cisl non si meraviglia: «Questa è la conferma di come vengono gestite certe cose in questa città, senza nessuno che si erga a baluardo». «Il discorso rimane aperto e la mobilitazione continuerà con forme di lotta interna», promette tuttavia Mangraviti. Certo, i segnali non sono dei più incoraggianti. Il Consiglio superiore di via Nazionale deciderà definitivamente il prossimo 30 marzo. L’obiettivo iniziale era di tagliare 25 sedi ma, dopo alcune pressioni, di teste, ne cadranno 22. Agrigento e Reggio Calabria, per esempio, sono riuscite a garantirsi la sopravvivenza. Non Messina che, tra i centri da sacrificare, è quello più popoloso.
Il fatto che per la città dello Stretto non si sia disposti a ritrattare, «alimenta dubbi e perplessità», secondo Andrea Scarfì, segretario provinciale di Fisac Cgil. «È un brutto segnale, non si può abbandonare il campo nascondendosi dietro il paravento della razionalizzazione dei costi. In una città ad alto tasso di usura e di percezione illegale del credito, la Banca d’Italia dovrebbe rappresentare un’irrinunciabile presidio di legalità». Senza dimenticare i 17 lavoratori «la cui età media è abbastanza alta, che dovranno essere trasferiti tra Catania e Palermo».
Già tre anni fa, alla sede del capoluogo etneo è stata ceduta la gestione del contante, «con una mole di valuta, fa notare Scarfì, superiore, oggi, a quella di Torino». «Sono scelte incomprensibili – rincara Antonino Inzirillo, di Falbi – Confsal – abbiamo Messina a motori spenti e Catania che, da sola, non ce la fa e deve appoggiarsi su Foggia. Senza tralasciare i rischi legati alla sicurezza dei portavalori, problema più volte denunciato, soprattutto in nord Italia». Inizirillo annuncia che il tentativo di mediazione proseguirà fino all’ultimo, sia a livello locale che centrale, ma si chiede che senso abbia «predicare la lotta alla criminalità finanziaria quando 5 anni fa si sono chiuse 39 filiali e ora se ne cancellano altre 22».
Per Mangraviti, l’attribuzione dello status di città metropolitana non ha motivo di esistere se vengono meno Marisicilia, la Camera di commercio, la sede della Banca d’Italia, «tutte istituzioni economiche e finanziarie che dovrebbero sostenere e guidare i processi di sviluppo, soprattutto in una realtà come questa». La presenza della filiale sarebbe importante più che mai adesso, grazie alla liquidità che verrà messa in circolazione grazie al Quantitative Easing deliberato dalla Banca centrale europea: «È necessario un presidio legato al controllo del territorio – conclude Mangraviti – sebbene dubiti che il denaro arriverà alle famiglie e alle aziende. Basilea 3, che regola la concessione del credito, non permette alle banche di dare soldi alle startup e alle nuove imprese».