Già caposervizio del Giornale di Sicilia, è accusato dalla guardia di finanza di ripetute irregolarità nella redazione dei bilanci. Insieme a lui indagati altre tre persone, nei confronti delle quali la gip Tiziana Leanza ha disposto l'obbligo di firma. Al centro dell'inchiesta la creazione di diverse cooperative per eludere gli oneri col fisco
Messina, agli arresti domiciliari editore Enzo Basso Accusa di bancarotta nella gestione di Centonove
Bancarotta fraudolenta, falso in bilancio e frode fiscale. Sono queste le accuse contestate a vario titolo alle quattro persone a cui sono stati notificati stamattina dalla guardia di finanza i provvedimenti cautelari disposti dalla gip Tiziana Leanza. Agli arresti domiciliari è finito Enzo Basso, 56 anni, giornalista di Messina. Caposervizio del Giornale di Sicilia, da diversi anni in aspettativa e attuale editore di 100nove press che ha preso il posto di Centonove, storico settimanale messinese.
Altre tre le persone che hanno l’obbligo di firma. Si tratta di Giuseppe Garufi, Andrea Ceccio e Francesco Pinizzotto. Il magistrato ha inoltre disposto il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente dei conti correnti, dei beni aziendali, delle quote di capitale e delle azioni intestate all’ultima delle società creata dagli indagati. Le indagini andate avanti per due anni, condotte dai finanzieri, coordinati dal sostituto procuratore Antonio Carchietti, «hanno permesso di accertare che gli indagati, tutti soci, amministratori e dipendenti di otto società operanti nel settore dell’editoria e create nell’ultimo decennio si sarebbero resi autori di ripetute irregolarità nella redazione dei bilanci».
Il tutto per «occultarne lo stato di crisi, simulando una solidità patrimoniale inesistente che gli consentiva di beneficiare di ulteriori finanziamenti che poi non venivano saldati». In particolare «il collaudato modus operandi consisteva nel creare società ad hoc, che venivano gravate di oneri connessi alla titolarità di importanti testate giornalistiche edite nella provincia di Messina, indebitate con l’Erario e con gli istituti previdenziali e successivamente messe in liquidazione con il contestuale spostamento della gestione della testata ad altre imprese». Nei 24 mesi di indagini sarebbe stato rilevato dai finanzieri «il ricorso alla forma delle società cooperative per tutte le imprese gestite dagli indagati, funzionale a garantire il godimento di rilevanti agevolazioni fiscali previste per tale forma societaria».
Ed è proprio attorno a tali società che gli investigatori avrebbero accertato ruotasse l’apparato creato e gestito sotto la regia di Basso, con l’ausilio di una serie di persone a lui fiduciariamente collegate nell’ambito delle compagini sociali delle altre cooperative, che, tra l’altro, condividevano tutte la stessa sede o comunque i luoghi dove si svolgevano le principali attività. «Sistematica era – concludono i finanzieri – la ripetizione delle operazioni economiche poste in essere per trasferire verso le nuove società, di volta in volta costituite, la parte più rilevante del patrimonio aziendale».