Messa Mussolini, parla il prete che ha celebrato Curia: «In futuro rito anonimo». Partono indagini

«Non ci si può approfittare di un luogo sacro per una manifestazione politica. Tanto più se è
vietata dalla Costituzione. Stiamo pensando come essere più prudenti il prossimo anno». Così monsignor Salvatore Genchi, vicario generale del vescovo di Catania Salvatore Gristina – oggi impegnato a Roma -, commenta a MeridioNews la messa in suffragio di Benito Mussolini, celebrata ieri nella chiesa di Santa Caterina in via Umberto. E soprattutto il suo finale, immortalato in un video della nostra testatatre saluti romani, a cui ha partecipato anche il ministrante dall’altare. «Non ho dato loro la parola, se la sono presa. Avevo già spiegato che sarebbe stato meglio evitare qualunque cosa ma, visto che insistevano, ho detto che l’importante era che si concludesse la liturgia – racconta don Salvatore Lo Cascio, il prete che ha celebrato la funzione – Quando ho capito cosa stavano facendo me ne stavo andando, ma poi mi hanno invitato a restare. Ormai che potevo fare? Buttarli fuori? Ho pensato a papa Francesco quando dice che non siamo nessuno per giudicare». A indagare sulla celebrazione è anche la polizia, come reso noto attraverso una nota stampa. 

Non si può approfittare di un luogo sacro per una manifestazione politica

Nella sede dell’arcivescovado non si parla d’altro. Lo scambio di messaggi tra sacerdoti e curia è cominciato al mattino presto. «
Se li cacciava via non era peggio?», «Macché, doveva impedire che si consumasse un reato in chiesa!», è solo una delle conversazioni sul tema registrate tra i corridoi. «Quello che ha fatto il ministrante non è stato bello, sono dei gesti che lasciano l’amaro in bocca – commenta Genchi – Siamo qui per pregare e veniamo messi davanti a fatti che non c’entrano niente, da parte di persone che disturbano. Non per i personaggi in se stessi, perché poi ognuno di noi se la vede con Dio, ma perché lo fanno in maniera intrusiva». Stamattina è stato padre Lo Cascio a chiamare il vicario generale per spiegargli la sua versione dei fatti. «È stato preso alla sprovvista e si è trovato in difficoltà perché non ha saputo gestire la cosa – riporta il monsignore – Chi lo ha fatto, lo ha fatto in maniera, diciamo, poco educata». 

A pesare nell’ambiente ecclesiastico è stato soprattutto il saluto romano del chierichetto adulto, vestito di bianco. «È una persona semplice, che frequenta la chiesa – spiega don Lo Cascio – Prima della messa mi ha detto: “Mi posso vestire?”. “E vestiti…”, gli ho risposto. Ma poi l’ho rimproverato». Tutto, a dire il vero, comincia molto prima. «Questa messa in suffragio me la sono ritrovata – continua il rettore della chiesa di Santa Caterina – E ho ottenuto che non mettessero in città nessun manifesto, al contrario degli altri anni, perché avrebbero potuto urtare la sensibilità di qualcuno». Arrivato il giorno della messa, i camerati avrebbero insistito per prendere la parola. L’accordo era che, se proprio necessario, parlassero brevemente «solo a messa finita». E così è stato. Ma i saluti romani, secondo la versione di padre Lo Cascio, non se li aspettava. «
Ridevo per l’imbarazzo – dice – A me queste cose non interessano». Il riferimento è alla politica, ma non solo. «Apro la chiesa mezz’ora prima della messa, il tempo del rosario – continua – Sono un giudice del tribunale ecclesiastico e docente di diritto canonico, non sono più parroco da anni, non ho la cura delle anime».

Parlerò con il vescovo per capire se accettare queste messe

Lavoro che lo impegnava a tempo pieno fino a qualche anno fa, quando era
sacerdote nel popoloso quartiere di Librino. «Quando si celebrava qualche funerale, si può immaginare la situazione – racconta – Durante la messa c’era un silenzioso religioso, ma fuori si facevano manifestazioni pubbliche non solo di dolore. Io, tra me e me, dicevo sempre: “Ma hanno capito oppure no?”. Eppure solo il Signore li può salvare». Di don Lo Cascio si è detto anche a proposito della sua posizione di padre spirituale del defunto boss di Cosa nostra Giuseppe Ercolano. «Sono stato per cinque anni cappellano nel carcere di Bicocca. Se i detenuti, quando escono, mi vengono a cercare non li posso cacciare via». Un po’ come gli estremisti di destra alla messa di ieri. «Se li si spinge fuori succedono altre questioni, se non li si spinge succede questo – conclude monsignore Genchi – È una gestione difficile, ma serve più prudenza. Parlerò col vescovo per capire se è il caso di accettare queste celebrazioni o rifiutarle. E proporrò che, se ne faranno richiesta, si preghi per questa persona (Benito Mussolini, ndr) in forma anonima, senza fare il nome del defunto». 


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