Grande quanto cinque campi da calcio e piena di materiali che, secondo la guardia di finanza di Sciacca, avrebbero dovuto essere smaltiti diversamente. Per le fiamme gialle, gli amministratori della Focat srl avrebbero risparmiato sul conferimento degli scarti della loro produzione di calce. Guarda le foto
Menfi, sequestrata discarica da 33mila metri quadri «Scarti di produzione, esteso sversamento catrame»
«Elevato impatto ambientale» e «potenziale pericolo per la falda acquifera e, dunque, per la salute umana». Sono le due frasi chiave dell’operazione Clean environment della guardia di finanza di Sciacca che negli scorsi giorni ha sequestrato un’area di oltre 33mila metri quadrati a Menfi (Agrigento) e denunciato quattro persone. Secondo le fiamme gialle saccensi, in contrada Genovese si trovava un impianto industriale in disuso, che sarebbe stata gestita a suo tempo dalla società Focat srl i cui legali rappresentanti sono stati denunciati a piede libero. L’accusa nei loro confronti sarebbe di realizzazione di discarica abusiva.
L’impresa, con sede a Valderice (Trapani) si sarebbe occupata – già dagli anni Settanta – di produzione di calce, ma sarebbe fallita nel 2015. Poco prima del fallimento, la società in crisi, secondo gli investigatori avrebbe risparmiato sullo smaltimento degli scarti di produzione a danno dell’ambiente. Nella zona individuata dai finanzieri sarebbero state trovate grandi quantità di calce idrata e di intonaci per uso edile, «nonché un esteso sversamento di catrame». Il tutto su un’area grande quanto cinque campi da calcio.
Per gli investigatori, di fronte alla sede dell’impianto che andava verso la dismissione negli anni si sarebbero accumulati «enormi depositi» di «sostanze altamente inquinanti» esposte agli agenti atmosferici. Gli amministratori della Focat srl avrebbero «continuato a operare sul mercato – continua la guardia di finanza – garantendosi una sostanziale riduzione dei costi aziendali che erano invece tenuti a sobbarcarsi per lo smaltimento dei rifiuti». Nello specifico si sarebbe trattato per lo più di idrocarburi che avrebbero «un elevato impatto ambientale» e sarebbero in grado di penetrare nella falda acquifera sottostante al terreno adesso sotto sequestro.