La Dia di Palermo ha sequestrato beni per un valore complessivo superiore a un miliardo e seicento milioni alla famiglia Virga, la cui azienda, che ha sede a Marineo, ha un ruolo di primo piano nel settore calcestruzzi. In passato le loro denunce avevano portato all'arresto di cinque persone ritenute i capimafia di Misilmeri. Ma secondo gli investigatori si trattava di una strategia per eludere le indagini a loro carico
Maxi sequestro antimafia al re del calcestruzzo L’imprenditore antiracket vicino alle cosche
A finire nei guai è stata la famiglia Virga, la cui azienda che ha sede a Marineo ha un ruolo di primo piano nel settore calcestruzzi. La Dia di Palermo ha sequestro a Carmelo, 66 anni; Vincenzo, 78 anni; Anna, 76 anni; Francesco, 71 anni; e Rosa 68 anni beni per un ammontare complessivo di oltre un miliardo e 600 milioni di euro. Il provvedimento, emesso dalla sezione misure di prevenzione del Tribunale di Palermo su proposta del direttore della Dia, Nunzio Antonio Ferla, riguarda trust, beni immobili e mobili registrati, rapporti bancari e imprese. Le indagini patrimoniali sono state coordinate dal procuratore aggiunto Bernardo Petralia.
La famiglia Virga non è una famiglia qualsiasi, ma una di quelle impegnate sul fronte antiracket. Le sue denunce contro gli esattori di Cosa nostra avevano permesso ai carabinieri di arrestare cinque persone ritenute i capimafia di Misilmeri. Eppure i “re del calcestruzzo”, secondo gli investigatori della Dia, proprio grazie all’appoggio della mafia sarebbero riusciti ad aggiudicarsi lavori e appalti pubblici nel settore dell’edilizia. Secondo l’accusa i Virga sarebbero «organici alla famiglia mafiosa di Marineo legata al mandamento di Corleone». Di più. Sarebbero riusciti, nel tempo, a sviluppare e a imporre il loro gruppo di imprese anche attraverso il cosiddetto “metodo Siino“, consistente nell’organizzazione di “cartelli” tra imprenditori, per l’aggiudicazione pilotata degli appalti pubblici.
La scalata al potere iniziò negli anni Ottanta, quando la famiglia era composta da braccianti agricoli, allevatori e casalinghe. Dopo 35 anni «grazie ai rapporti con la cosca di Totò Riina e Bernardo Provenzano», i Virga hanno accumulato un vero e proprio impero: 33 aziende, 700 tra case, ville e immobili, 80 rapporti bancari, 40 assicurativi e oltre 40 mezzi. Il sequestro di oggi rappresenta, per valore complessivo, uno dei più ingenti mai eseguiti.
Gli imprenditori avevano strategicamente iniziato ad avvicinarsi alle associazioni antiracket Libero Futuro e Addiopizzo. «Gaetano Virga con il padre Carmelo, le menti della famiglia, aveva pensato di avvicinarsi alle associazioni antiracket per cercare di ‘ripulirsi’ dopo essere stati indagati» ha detto Riccardo Sciuto, capo operativo della Dia di Palermo. Una vera e propria strategia, secondo gli investigatori, per eludere le indagini sul loro conto. «Ci sono alcune attività tecniche – ha aggiunto – che hanno segnalato la scelta precisa di avvicinarsi all’antiracket anche con denunce nei confronti di presunti esattori. Le indagini stanno dimostrando che più che una estorsione era una dazione quella che i Virga versavano alla famiglia di Misilmeri».
Sulla vicenda è intervenuta anche l’associazione Addiopizzo, precisando che «da anni aveva ritenuto non opportuno includere nella rete di consumo critico antiracket le società». Una scelta, spiegano dal comitato antiracket, compiuta «in tempi non sospetti e nonostante gli operatori economici avessero sporto delle denunce per degli episodi estorsivi. Per alcuni di questi, successivamente accertati con condanne nei confronti di esponenti mafiosi, è stata data, tramite Libero Futuro, assistenza processuale».
«Nulla di più è stato fatto – precisano da Addiopizzo – e soprattutto il protocollo di trattamento impiegato e seguito in stretto raccordo con organi investigativi e autorità giudiziaria non ha mai visto pubblicizzare tali storie, né tantomeno agli occhi dell’opinione pubblica, come simboli dell’antiracket o modelli di denuncia. Come dimostra la storia odierna, l’attività di assistenza alla denuncia è un terreno di lotta molto duro e delicato su cui è possibile imbattersi in storie difficili, scomode, paradossali e border line. Ciò non toglie però che sia comunque cruciale prestare assistenza nei processi a chi decide di denunciare, affinché non sia esposto a rischi di isolamento e ritorsioni, senza illudersi nei confronti di tali soggetti che per diverso tempo hanno condiviso relazioni ed interessi con le organizzazioni mafiose».