Mars Volta – Amputechture (2006, GSL / Universal)

TRACKLIST:
1 Vicarious Atonement
2 Tetragrammaton
3 Vermicide
4 Meccamputechture
5 Asilos Magdalena
6 Viscera Eyes
7 Day Of The Baphomets
8 El Ciervo Vulnerado

Sarà che ci hanno abituati troppo bene, perché si sa, quando si è assaporato il caviale è poi difficile apprezzare pane e cipolla. Sarà che album come “Frances The Mute” e, soprattutto, “De-Loused In The Comatorium” non sono proprio all’ordine del giorno in questo nuovo millennio. Sarà che da un gruppone come loro ci si aspetta sempre il boom e mai il flop. Sarà anche che è passato soltanto poco più di un anno dalla loro precedente creatura, o sarà stata forse troppa la stanchezza accumulata on stage in giro per il mondo. Fatto sta che Amputechture, terzo lavoro in studio dei Mars Volta, nonostante sia nato e cresciuto sotto i migliori auspici ed abbia catalizzato le aspettative come pochi altri album durante il 2006, lascia a sorpresa perplessi e con l’amaro in bocca. Inutile quindi perdersi in chiacchiere e rimandare solo di qualche rigo il verdetto, tanto vale essere chiari fin dall’inizio. Ma veniamo al dunque. In cosa hanno fallito Omar Rodriguez-Lopez e soci? “Esasperazione” è il termine più consono per riassumere i peccati di forma e sostanza di questo “Amputechture”. I vocalizzi di plantiana memoria di Cedric Bixler-Zavala non sono certo una novità, se profusi con parsimonia e puntualità d’esecuzione come nell’album del 2003 fanno giustamente gridare al gran talento, se massicci come nel 2005 finiscono a tratti (attenzione, solo a tratti) col disturbare, ma se esasperati e sconnessi come in questo episodio non possono che avere come conseguenza il continuo “up and down” del volume d’ascolto e possibilmente un ripetuto skip delle tracce. Aggiungiamoci la lunghezza estenuante di quasi tutti i brani, con gli oltre sedici minuti di Tetragrammaton e gli undici e passa di Meccamputechture e Day Of The Baphomets a fare da polpettone psichedelico in salsa progressive, ed il delitto è consumato. Per carità, i funambolismi figli della tecnica sopraffina dei musicisti in questione sono sempre da lodare, la classe c’è tutta ed è cristallina, ma ad ogni suite si ha come l’impressione che i tempi siano stati eccessivamente annacquati, secondi e secondi di ritardo su quelle che sarebbero le naturali conclusioni delle spirali sonore. Per non parlare del tema di fondo dell’album, tra citazionismo biblico, riferimenti all’islam, all’ebraismo ed al signore del male, per una sorta di “concept religioso” che non è proprio nelle corde della band. Va bene dunque il superamento degli schemi compositivi canonici, passi pure l’improvvisazione selvaggia che pare essere il motore primo di questi Mars Volta, ma ogni cosa ha un limite, ed il gruppo sembra davvero averli oltrepassati tutti questi limiti, uscendone decisamente ridimensionato. Ridateci il Comatorium.

Nota: da segnalare la presenza alla chitarra ritmica di John Frusciante (già con i Mars Volta in passato). Il chitarrista dei Red Hot Chili Peppers ha apposto la sua firma su tutto l’album, ma se non fosse per i crediti la sua presenza passerebbe di certo inosservata. Anche lui ex bambino prodigio.


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