Mario Ciancio, comincia il processo all’editore etneo Tra i testimoni Lombardo, Bianco e decine di pentiti

Quasi duecento persone da sentire sul banco dei testimoni, 40 faldoni processuali da spulciare e una spaventosa mole di intercettazioni telefoniche e ambientali. Il processo a Mario Ciancio Sanfilippo non sarà una passeggiata, ma una lunga maratona giudiziaria. L’obiettivo è quello ormai noto: chiarire se l’imprenditore ed editore del quotidiano La Sicilia abbia favorito, pur non essendone ritualmente affiliato, la famiglia catanese di Cosa nostra. Per uno strano incrocio di date, la prima udienza del processo è coincisa con il giorno in cui, nel 2010, il nome di Ciancio veniva messo nero su bianco nel registro degli indagati da parte della procura di Catania. Otto lunghi anni impossibili da riassumere in poche righe, in cui l’editore è anche passato da una richiesta d’archiviazione e un discusso proscioglimento in udienza preliminare a quattro giorni dal Natale 2015, salvo poi essere annullato con rinvio dalla Cassazione. Gli ultimi capitoli di questa vicenda sono storia recente, con il rinvio a giudizio datato 1 giugno 2017

Ciancio non si è mai visto in piazza Giovanni Verga, scegliendo di non partecipare a nessun appello. Oggi, com’era prevedibile, non ha invertito questa tendenza nemmeno davanti il presidente della prima sezione penale Roberto Passalacqua. Per l’imprenditore c’erano gli avvocati Carmelo Peluso e Francesco Colotti, quest’ultimo sostituto processuale di Giulia Bongiorno. All’angolo opposto del lungo tavolo della prima sezione penale, l’accusa; con i sostituti procuratori Antonino Fanara, Agata Santonocito e il procuratore aggiunto Francesco Puleio. Presenza, la sua, non scontata, che potrebbe essere letta come segno di vicinanza dei vertici della procura al lavoro dei magistrati in aula. In mezzo, tra accusa e difesa, gli avvocati per le richieste di costituzione di parte civile. Un drappello in cui ha trovato spazio, seppure in piena zona Cesarini, anche il Comune di Catania, presentatosi in udienza con l’avvocata Agata Barbagallo. L’ordinanza, firmata dal sindaco Enzo Bianco, è stata protocollata dalla direzione affari legali oggi, mentre la predisposizione dei documenti è avvenuta soltanto ieri. 

Il rompete le righe è arrivato alle 9.40 in punto. In aula anche i rappresentanti dell’associazione Libera e quelli del comitato No Pua, costituito negli anni scorsi per contrastare la maxi speculazione edilizia del piano urbanistico attuativo nella parte Sud della città. Passalacqua, dopo una camera di consiglio durata più di un’ora, ha accolto come parti civili l’ordine dei giornalisti di Sicilia, SoS impresa, Comune di Catania, Libera e i fratelli Montana. Niente da fare per i No Pua, a cui si è opposto anche l’avvocato Peluso: «Questo processo non avrà come oggetto la legittimità di quel progetto. Ecco perché non può essere riconosciuto come soggetto danneggiato dalla condotta contestata a Ciancio». Subito dopo, con l’apertura del dibattimento, è stata la volta delle liste di testimoni che verranno chiamati in aula per essere ascoltati. Un calderone fatto di centinaia di nomi in cui compaiono decine di ex boss di Cosa nostra, imprenditori, politici, consiglieri comunali vecchi e nuovi e anche una rappresentanza di giornalisti

L’accusa ha inserito l’ex presidente della Regione Raffaele Lombardo, mentre resta fuori Enzo Bianco. A convocare l’attuale sindaco di Catania sarà però la difesa dell’editore. Ciancio e il primo cittadino sono i protagonisti dell’ormai nota intercettazione dell’aprile 2013 riguardante l’approvazione in consiglio comunale del Pua. Una telefonata – svelata in esclusiva da MeridioNews – avvenuta quando Ciancio era già sott’inchiesta e che, a gennaio 2016, ha costretto il sindaco a rispondere alla convocazione della commissione parlamentare antimafia. A sfilare in aula saranno anche l’ex vicesindaco ed ex senatore Mimmo Sudano e l’attuale vicesindaco di Catania Rosario D’Agata, che nella votazione sul Pua decise di astenersi. Con loro ci saranno anche i protagonisti di alcuni degli affari milionari, compresi i fondi all’estero, collegati al nome di Ciancio: centro commerciale Porte di Catania, Sicilia Outlet Village di Agira e il villaggio per i militari americani a Belpasso, che però non è stato mai realizzato. L’avvocato Goffredo D’Antona ha scelto tra gli altri il deputato regionale Claudio Fava, figlio del giornalista ucciso da Cosa nostra, e Nando dalla Chiesa, figlio secondogenito del generale Carlo Alberto dalla Chiesa. Saranno sentiti anche i giornalisti Concetto Mannisi, Tony Zermo, Andrea Lodato, Sigfrido Ranucci e Giuseppe Lazzaro Danzuso.

Il giudice ha invece scelto di non fare entrare nei faldoni processuali un file, redatto dalla difesa di Ciancio, in cui erano stati inseriti degli stralci di articoli in cui su La Sicilia è comparsa la parola «mafia». Oltre 80mila citazioni che, a parere della difesa, potevano fare da contraltare all’accusa secondo cui Ciancio negli anni avrebbe messo a disposizione di Cosa nostra anche la linea editoriale del giornale. «Si tratta di una richiesta elefantiaca che nulla porta al processo», chiosa, opponendosi alla richiesta, l’aggiunto Puleio. Finiranno comunque tra gli atti diversi articoli e una cartella digitale in cui la difesa ha voluto condensare tutti i rapporti di alto livello che l’editore ha intrattenuto in questi anni. Compresa la visita dei principi di Galles Carlo e Lady Diana, ospiti nell’aprile 1985 nella tenuta settecentesca di Ciancio in contrada Cardinale. 


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