Marinerie siciliane alla fame, la ‘provocazione’ del ‘bianchetto

Le cronache annunciano che il Governo regionale di Rosario Crocetta – con un provvedimento firmato dall’assessore, Dario Cartabellotta (la gestione della pesca è affidata al titolare delle Risorse agricole) – ha autorizzato la pesca del novellame (la “neonata”). Non è un’iniziativa meritoria, considerato che non tutela gli equilibri ecologici. Ma sarebbe un errore considerare quest’autorizzazione al di fuori di un contesto economico e sociale che vede il mondo della pesca siciliana colpito da una gravissima crisi.

Una crisi che affonda le radici in un eccessivo “sforzo di pesca” che oggi viene esercitato nel Mediterraneo. Una crisi – e questo va detto con estrema chiarezza – che è anche il frutto di regolamenti, adottati dall’Unione Europea, che poco o nulla hanno a che vedere con i grandi temi e i problemi della pesca nel Mediterraneo.

Il pesce, è il caso di dirlo, puzza sempre dalla testa. E la testa che manca è proprio quella dell’Unione Europea, fino ad oggi assolutamente incapace di capire cosa fare di concreto – e, soprattutto, di razionale – per le marinerie europee che si affacciano nel Mediterraneo. (a sinistra foto tratta da  euractiv.it)

Siamo i primi a contestare un provvedimento amministrativo che autorizza la pesca del bianchetto, anche se per un periodo di tempo limitato (40 giorni e non 60 come negli anni passati) e in un tratto di mare che va da San Vito Lo Capo a Siracusa (in pratica, nelle riviere tirrenica e ionica della nostra Isola). Ma questa volta il Governo regionale ha fatto bene a porre una questione – che è politica – al Governo nazionale e a un’Unione Europea sempre più lontana dai problemi concreti della pesca nel Mediterraneo (discorso che potrebbe essere esteso alle agricoltura mediterranee dell’Unione).

Proprio in questi giorni il nostro giornale sta pubblicando un’inchiesta a puntate sugli sprechi dell’Unione Europea. Questa storia del bianchetto cade a pennello per sottolineare l’inadeguatezza di un’Europa unita solo sugli affari che interessano pochi e assente su molti dei problemi concreti, con riferimento, soprattutto, al Sud Europa. A cominciare proprio dai problemi della pesca del mediterraneo. Vicenda nella quale ‘brilla’ anche l’assenza dei parlamentari europei eletti in Sicilia.

Diciamo questo perché la crisi delle Marinerie siciliane è gravissima. Ci sono pescatori che, da mesi, non sanno come andare avanti. Non sanno – letteralmente – cosa mangiare. Tutto questo a causa, soprattutto, di problemi creati dall’Unione Europea e dai suoi regolamenti cervellotici e sbagliati. Facciamo qualche esempio.

L’Unione Europea ha stabilito che certe tipologie di pesca e certi attrezzi da pesca non possono essere utilizzati. Peccato che nel Mediterraneo si affacciano anche Paesi non europei. Dove le tipologie di pesca e gli attrezzi da pesca banditi dall’Unione vengono regolarmente utilizzati. Il risultato è che i nostri pescatori non lavorano, mentre i pescatori delle marinerie non europee pescano con metodologie e attrezzi di pesca da noi proibiti e, magari, esportano il pesce nell’Unione Europea!

Un’altra trovata ‘geniale’ dell’Unione Europea è rappresentata dai nuovi controlli sulla pesca. Si tratta di regole e controlli complessi, in alcuni casi cervellotici (ai pescatori vengono tolti punti, fino al ritiro della licenza di pesca). Prescrizioni che, fino ad ora, hanno sortito un solo effetto: allontanare i pescatori siciliani dal mare.

Già mettendo assieme questi due elementi – regolamenti di pesca che creano grandi problemi ai nostri pescatori e controlli che portano dritti dritti al ritiro delle licenze di pesca – sorge un dubbio: e cioè che l’obiettivo dell’Unione Europea non sia quello di tutelare gli equilibri ecologici del Mediterraneo (che non si tutelano penalizzando solo i nostri pescatori e favorendo, di fatto, i pescatori delle Marinerie non europee che si affacciano nel Mediterraneo), ma quello di trasformare alcune aree del Sud Europa in grandi mercati di consumo di prodotti provenienti da altre parti del mondo. Per scoprire, magari, che il pescato acquistato a prezzi stracciati da certi commercianti europei presso le Marinerie non mediterranee è rivenduto a dalle nostre parti a prezzi maggiorati: cosa, tecnica, già ‘brillantemente’ utilizzata dall’Unione Europea in agricoltura.

Se il progetto dell’Unione Europea per le Marinerie del Mediterraneo è questo, ebbene, va detto chiaramente che l’Unione Europea va sbaraccata. Oggi il mondo della pesca comunitario sta vivendo il momento di passaggio verso una nuova politica europea che, fino ad oggi – lo ribadiamo con forza – ha solo penalizzato alcune Marinerie del Sud Europa, con in testa quelle siciliane. Per ora è in corso il cosiddetto ‘Trialogo’ tra Commissione Europea, Parlamento Europeo e Consiglio Europeo (i Ministri dei Paesi europei). Sarà bene che, in questa sede, vengano rappresentati anche gli interessi del Mediterraneo e, in particolare, della Sicilia.

Finora, dall’Europa, per la pesca siciliana, abbiamo visto solo divieti. Da un’Unione Europea che, come raccontiamo oggi in altra parte del nostro giornale, spende una barca di soldi per tenere in piedi oltre cento ambasciate, ci si sarebbe aspettati la convocazione di una Conferenza mediterranea della pesca per cercare regole comuni per i pescatori che operano  nel Mare Nostrum. Invece continuiamo a vedere solo divieti che favoriscono, nei fatti, le Marinerie di Paesi non mediterranei.

Il Governo siciliano ha fatto bene, con la provocazione sulla pesca del ‘bianchetto’, a porre la questione (avrebbe fatto ancora meglio se, accanto all’autorizzazione della pesca del ‘bianchetto per 40 giorni, avesse allegato anche un piano di gestione, indicando tempi e modalità di pesca: fermo restando che la pesca del ‘bianchetto’ è dannosa per l’ambiente). Ma tale atto avrà un senso se sortirà effetti concreti.

Detto in parole più crude, se il ‘Triaologo’ non produrrà effetti positivi per le Marinerie siciliane, è bene considerare la possibilità concreta di riprenderci la nostra Autonomia in materia di pesca. A prescindere, se le condizioni dovessero richiederlo, da Roma e da Bruxelles. Anche ricorrendo a una prova di forza. 

 


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