Marco il danese: ammette le botte, non lo stupro Alla giudice dice: «Sono un angelo, sono di dio»

«Io sono un angelo, da due anni solo solo di dio». Marco Lalicata ammette l’aggressione ma nega lo stupro. Il ragazzo è stato fermato all’inizio della settimana per aggressione, violenza sessuale ai danni della sua compagna e detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti. Le prime due accuse sono state confermate dalla giudice Flavia Panzano, tranne l’ultima, che invece è stata lasciata cadere. Nel corso dell’udienza con la quale il suo arresto è stato convalidato, ieri, il 27enne danese – noto per la sua fattoria ambulante – avrebbe spiegato di non essere interessato al sesso se non per procreare. E che per questo motivo non avrebbe violentato la sua fidanzata. Martedì pomeriggio, prima che lei si presentasse negli uffici della polizia scientifica di via Roccaromana, Marco l’avrebbe presa a pugni e a calci in viso e sul corpo, in modo abbastanza violento da romperle il naso e fratturarle tre costole. «Ma ha spiegato, con convinzione, di non averla stuprata – spiega Paolo Sapuppo, avvocato del 27enne – Secondo il suo racconto, dopo l’aggressione lei gli avrebbe chiesto di avere un rapporto sessuale, che lui le avrebbe concesso – nonostante si dica non interessato a queste cose perché figlio di dio – proprio perché si era reso conto di averle fatto del male». 

La storia che Marco Lalicata avrebbe raccontato davanti alla giudice per le indagini preliminari coinciderebbe con quella spiegata a MeridioNews da diversi testimoni di aggressioni che sarebbero avvenute nei mesi passati. Secondo la ricostruzione del ragazzo, la sua compagna – che viveva con lui da circa quattro anni – lo avrebbe ossessionato. «Lui sostiene di non volere stare con lei – continua Sapuppo – che è lei a tormentarlo e a inseguirlo, dicendogli che vuole avere una vita normale e non vuole vivere per la strada». Lui, invece, preferisce allevare i suoi animali e vivere in un rudere abbandonato, a pochi metri da una delle sedi del dipartimento di Giurisprudenza e proprio di fronte alle finestre della sezione scientifica della polizia. Un immobile dal quale era già stato sgomberato mesi fa, dopo che i suoi maiali sono stati trovati mentre rovistavano nei cassonetti della spazzatura.

Lì di fronte, in via Roccaromana, già alcune settimane fa lui avrebbe maltrattato la sua ex compagna, chiedendole di andare via e tenendola ferma per il collo. Dinamica che si sarebbe ripetuta martedì. «Parlava senza chiedere il permesso e si muoveva nonostante lui le imponesse di stare immobile – si legge nell’ordinanza con la quale la giudice conferma per lui la custodia cautelare in carcere – E ogni volta che lei si muoveva o chiedeva aiuto, Marco Lalicata la colpiva sempre con forza crescente». Fatti che lui stesso avrebbe confessato alle forze dell’ordine e ribadito nel corso dell’udienza di ieri mattina al tribunale di Catania. E se in un primo momento, martedì, il danese avrebbe confermato anche lo stupro, la versione è cambiata ieri. Dal canto suo, anche la ragazza ha lievemente modificato la sua storia durante un secondo colloquio con le forze dell’ordine, giovedì: se prima aveva detto che lui l’aveva costretta ad avere un rapporto sessuale, successivamente ha spiegato «di avere acconsentito, dopo avere subito le lesioni, in quanto Lalicata non era in sé». «Una apparente accondiscendenza», la definisce la giudice, dovuta alla paura delle botte.

«Marco – prosegue il suo legale – ha ammesso quello che ha fatto. Ha detto chiaramente di averla picchiata molto forte. E ha spiegato la sua versione dei fatti». Compreso l’aspetto legato alla detenzione di marijuana ai fini di spaccio: nel corso del controllo della polizia, era stato trovato in possesso di 7,5 grammi di erba e di una bilancia. «Ha raccontato di avere la droga solo per uso personale; e la bilancia, chiusa nello zaino, solo perché voleva controllare che chi gli vendeva la marijuana non lo prendesse in giro. In effetti – continua l’avvocato Sapuppo – l’accusa è stata lasciata cadere totalmente». Anche perché, i soldi che sono stati sequestrati e che per le forze dell’ordine sarebbero stati proventi dello spaccio, secondo la magistrata Panzano sarebbero invece coerenti con la disponibilità economica di Marco: dalla Danimarca – lo stato in cui il 27enne è nato, da padre catanese e madre danese – Lalicata percepisce una pensione d’invalidità di circa 1700 euro al mese dovuta alla sua condizione psichica.  

Adesso, però, la sua eventuale infermità mentale dovrà essere dimostrata in Italia. Lunedì il suo avvocato depositerà, oltre alla richiesta di Riesame, anche quella di un incidente probatorio per accertare lo stato di salute del suo assistito. Nel frattempo, non è certo che Marco rimarrà in una cella del carcere di piazza Lanza. Potrebbe essere trasferito nei prossimi giorni in una struttura giudiziaria idonea al trattamento di persone con problemi psichiatrici. All’inizio della settimana, intanto, dovrebbero arrivare nel capoluogo etneo i nonni di Marco: i genitori di suo padre vivono in contrada Giummarra, a Mineo, dove lo stesso Marco risulta residente. «Daranno la disponibilità per accoglierlo nel caso in cui gli venissero concessi gli arresti domiciliari», conclude l’avvocato Paolo Sapuppo.


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