Mal’aria di città, il rapporto sulle polveri sottili «Inquinamento incide per il 20 per cento sulla salute»

«La piaga peggiore della Sicilia? Il traffico». Nel 2022, a trent’anni di distanza dal film Johnny Stecchino, la celebre battuta assume una nuova luce. Da tentativo di distrazione da una vera emergenza – quella mafiosa – a preveggenza. Almeno a guardare i dati dell’inquinamento dell’aria dei capoluoghi siciliani, secondo quanto emerge dal rapporto Mal’Aria di città di Legambiente, che ha analizzato i numeri del 2021 provenienti da 238 centraline per il monitoraggio dell’aria di 102 città capoluogo di provincia italiane. Ventuno delle quali nelle nove città principali siciliane. Tre gli indicatori considerati: il Pm10 e Pm2.5 – che, insieme, formano le cosiddette polveri sottili – e No2, il biossido di azoto. «Un problema ambientale ma anche sanitario», si ricorda nel dossier.

«Quando si parla di inquinamento atmosferico – spiega il responsabile scientifico di Legambiente Andrea Minutolo a Direttora d’aria, in onda su Radio Fantastica e Sestarete – bisogna tenere in considerazione una complessità di elementi». Tra questi ci sono il traffico veicolare, tra pullman, autobus e autovetture. Ma non solo. «Tutto ciò che riguarda i combustibili fossili, anche i porti sono spesso controproducenti, poi ci sono altre componenti come l’utilizzo di riscaldamenti domestici – prosegue Minutolo – ancora oggi ci sono caldaie che funzionano a gasolio e, in alcuni casi, a carbone». Anche se, per Legambiente, «il traffico è il settore su cui maggiormente si può intervenire, incentivando il trasporto pubblico ed elettrico». 

Lo studio di Legambiente si concentra sui centri urbani. «Si è arrivati a un punto in cui non basta più il motore meno inquinante – dice Minutolo – ma bisogna andare a investire in politiche che cambiano radicalmente il modo in cui produciamo». Anche perché, è la posizione di Legambiente, «tra pochi anni i limiti ambientali diventeranno vincolanti e, in caso di violazione, si andrà incontro a procedure di infrazione». 

Circostanze, queste, che sebbene riguardino l’ambiente influenzano non poco la nostra salute. «Secondo i dati del ministero – spiega a Direttora d’aria il ricercatore di Igiene e Medicina preventiva all’Università di Palermo Carmelo Maida – l’inquinamento ambientale incide sulla nostra salute per il 20 per cento». Un dato che preoccupa le categorie più fragili come anziani e bambini, «che risultano molto più esposti», sostiene Maida. E che contribuisce a immaginare un’Italia che, forse e non diversamente da quanto si faccia in Cina, potrebbe abituarsi all’uso delle mascherine per proteggersi dalle polveri sottili

«Le popolazioni asiatiche vivono in un contesto di inquinamento ben diverso – sottolinea Maida – perché c’è una realtà industriale molto importante ma anche probabilmente meno controllata». Magari, prosegue il ricercatore, «utilizzeremo le mascherine anche per altro – immagina Maida – per esempio chi va in bici in mezzo al traffico potrebbe beneficiare di un fattore filtrante». Insomma, per Maida, «bisogna rivedere molte cose a cui finora abbiamo dato meno peso – conclude – Tutti noi vivremo di più perché l’aspettativa di vita si allunga, ma dobbiamo viverla bene». 

Se a detenere la maglia nera italiana sono zone altamente industrializzate come il Nord Italia, il particolare delle centraline siciliane indica senza dubbio il ruolo del trasporto privato. Si spiega così, per esempio, il primo posto isolano della città di Palermo, con la media più altra tra i tre fattori considerati. E una peculiarità: il superamento del limite di legge di biossido di azoto (40 microgrammi per metro cubo, che scende a 10 nei consigli dell’Organizzazione mondiale della sanità) nelle centraline di Di Blasi (52 microgrammi per metro cubo) e Castelnuovo (41 microgrammi per metro cubo). E il comprensibile valore di 23 giornate – sulle 35 di sforamento concesse dalla legge – in cui si è superato il limite di legge per i Pm10 (fisso a 50 microgrammi per metro cubo, ma con la soglia consigliata molto più bassa) nella zona universitaria. 

Numeri e spiegazioni confermate dall’anomalia di una centralina specifica di Catania: quella del trafficato viale Vittorio Veneto, zona di cronici ingorghi di auto e motorini, dove si è segnalato un superamento dei limiti ben 50 volte in un anno. La stessa centralina, inoltre, ha registrato uno dei valori medi annui più alto d’Italia: 35 microgrammi per metro cubo, attestando il capoluogo etneo come quarto dopo Milano, Torino e Alessandria. «A Catania le polveri dell’Etna possono incidere sul calcolo dell’inquinamento – spiega Minutolo – il dubbio di quanto tutto dipenda dall’inquinamento o da fenomeni naturali, però, rimane». Di certo, incalza Minutolo, «se lo sforamento si registra solo in quella via, è molto meno probabile che sia addebitabile a un evento naturale». 

Nell’analisi siciliana segue, senza sorpresa, la terza grande città metropolitana dell’Isola: Messina. La classifica delle medie più alte continua con Ragusa (la cui centralina del campo di atletica ha registrato uno sfioramento del limite delle giornate di superamento consentite, 31 su 35), Siracusa (da 1 a 5 sforamenti del limite nelle sue 4 centraline) e Agrigento; e con Trapani e Caltanissetta (la più virtuosa circa i Pm10, con 0 superamenti del limite) per cui non sono disponibili i dati di Pm2.5. Potrebbe essere il caso della centralina di viale Vittorio Veneto che, nel periodo di riferimento, ha registrato parecchi sforamenti di polveri sottili

È per questo che le proposte di Legambiente sono per lo più concentrate verso un cambiamento possibile, ma anche sostenibile economicamente: niente blocchi navali insomma, ma una riduzione dell’uso di mezzi privati inquinanti. Tra cui un nuovo disegno dei centri urbani che permetta di avere tutti i servizi a pochi passi (le cosiddette città dei 15 minuti), incentivi alla mobilità elettrica condivisa (dalle auto alle bici, passando per i monopattini), la qualificazione energetica dell’edilizia pubblica, una meno inquinante distribuzione delle merci. Menzione a parte va all’agricoltura, per cui ci si augura un maggiore controllo delle emissioni di ammoniaca, meno spargimento di liquami e una riduzione degli allevamenti intensivi.


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