Continuano, a distanza di giorni, gli effetti del blitz messo a segno martedì all’alba che ha sgominato la nuova cupola mafiosa di Palermo e provincia. Gli agenti di polizia del commissariato Oreto-Stazione hanno sequestrato alcuni gioielli e una pistola nell’oreficeria Mineo in corso Tukory, già colpita ieri da interdittiva antimafia: sarebbe stata infatti per gli inquirenti la «base operativa del reggente mafioso del mandamento di Pagliarelli Settimo Mineo, e luogo di frequenti incontri tra gli indagati di delitto associativo mafioso».
La gioielleria è intestata al nipote del presunto padrino ed erede di Riina, che a parte la licenza per vendere gli articoli da regalo e l’orologeria, non avrebbe avuto anche quella per vendere preziosi. Nel negozio sono stati trovati oggetti in oro come bracciali, orecchini e collane e diverse cose in riparazione. Nella cassaforte gli agenti hanno anche trovato una pistola Smith Wesson calibro 38 non denunciata dal proprietario. Il commerciante è stato perciò denunciato per detenzione abusiva di armi e i preziosi sono stati sequestrati.
Nel corso di ulteriori controlli è stata trovata persino una carabina, anche questa detenuta in violazione delle prescrizioni imposte dal tribunale di sorveglianza, visto che il commerciante era affidato ai servizi sociali. Eppure, in molti nella zona, specie i commercianti con attività e negozi più vicini alla gioielleria, di Mineo e dei suoi trascorsi giudiziari sembrano sapere ben poco. Anche se basta allontanarsi di qualche metro per trovare chi non ha paura di ammettere che «non si poteva non sapere». Anche perché, precedenti a parte dell’arzillo 80enne, la gioielleria di corso Tukory è stata luogo ideale di numerosi incontri con altri presunti boss, anche loro coinvolti nel blitz di materdì. «Oggi cos’è? Venerdì? Può essere che viene, se no lo dobbiamo andare a trovare», dice intercettato un sodale. In caso di necessità, insomma, la gioielleria è un luogo in cui Mineo senior è di certo reperibile. «In caso andiamo al corso Tukory, ci possiamo andare a parlare», si sente ancora nelle intercettazioni raccolte dagli inquirenti.
Per tutta la durata delle indagini, infatti, Settimo Mineo sembrerebbe avere avuto contatti frequenti, non casuali e spesso concordati con diversi altri presunti mafiosi proprio in quell’oreficeria al civico 182. Contatti che avvenivano «con cadenza quasi giornaliera sia presso la gioielleria di corso Tukory, che in altri luoghi chiave delle dinamiche territoriali di Pagliarelli», dicono le carte dell’inchiesta. Da Salvatore Mulè, presunto capo della famiglia mafiosa di Porta Nuova-Ballarò, a Salvatore Sorrentino, che per i magistrati sarebbe invece il capo della famiglia di Villaggio Santa Rosalia, sono in molti i protagonisti di questo curiosi via vai dal negozio per incontrare Mineo e parlare con lui. Incontri, anche questi, che rispettano il rigido codice cui l’80enne chiedeva di tornare a ispirarsi, e che contemplava contatti brevissimi. Finiti i quali, poi, ognuno se ne andava per la propria strada, fingendo indifferenza.
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