Mafia, l’ascesa di Pippo Nicotra all’ombra dei clan «Voti dai Santapaola, pacchetti da diecimila euro»

Dal negozio di farine e alimentari del padre al piccolo impero di supermercati, dalla nomina a sindaco – quando ancora la fascia di primo cittadino era frutto della fiducia dei colleghi consiglieri – ai tre lustri passati da onorevole. La carriera di Raffaele Nicotra, Pippo un po’ per chiunque, per un lungo tratto è stata un’unica e costante ascesa. O perlomeno così appariva a chi non era avvezzo alle cronache giudiziarie, perché in realtà negli ultimi 25 anni il nome dell’esponente Pd – e prima ancora Nuovo Psi, Mpa, Pdl, Udc e Articolo 4 – era stato già accostato, in maniera più o meno marcata, alla criminalità organizzata già prima dell’arresto di questa notte, nell’ambito dell’operazione antimafia Aquilia che ha portato all’arresto di altre 17 persone ritenute vicine alla famiglia Santapaola-Ercolano, e nello specifico ai gruppi attivi nel comprensorio acese e sul litorale ionico.

Ma l’avere dato sostegno morale al boss Nuccio Coscia – nel ’93, fatto che precedette lo scioglimento per mafia del Comune di Aci Catena -, l’essere stato indagato per voto di scambio a inizio anni Duemila, nonché citato da più pentiti di mafia, sfuma accanto alle accuse che la Direzione distrettuale antimafia di Catania gli rivolge oggi: concorso esterno in associazione mafiosa, tentata estorsione aggravata e scambio elettorale politico mafioso. Un rapporto che si sarebbe alimentato negli anni con dazioni di denaro ai Santapaola catenoti in cambio della garanzia di quel pacchetto di voti che gli avrebbe dato la possibilità di confermarsi deputato all’Ars, quantomeno alle elezioni del 2008 e del 2012. È quanto ricostruito dai carabinieri del Comando provinciale di Catania, nell’ambito di un’indagine iniziata a fine 2015 e conclusasi a gennaio di quest’anno. 

Gli inquirenti, basandosi sulle dichiarazioni dell’ex reggente e oggi collaboratore di giustizia Mario Vinciguerra, avrebbero ricostruito anche le modalità della compravendita: in un caso, nel 2008, sarebbe stata versata una somma di diecimila euro per l’intera tornata, in un’altra invece, nel 2012, i magistrati hanno stabilito in 50 euro il prezzo del singolo voto. «La notizia della collaborazione di Vinciguerra – dichiara il procuratore aggiunto Francesco Puleio – aveva messo in fibrillazione il gruppo criminale, facendo sì che aumentassero anche i contatti tra i vari esponenti, che hanno commentato i fatti svoltisi negli anni precedenti». Nicotra, che è stato trasferito nel carcere di Bicocca, sarà chiamato a rispondere anche dell’accusa di tentata estorsione nei confronti di un imprenditore. «Abbiamo elementi concreti per sostenere questa ipotesi», sottolinea il magistrato.

L’inchiesta, come detto, tira in ballo figure di spicco dei santapaoliani acesi. A partire da Stefano Sciuto, attualmente in carcere ad Asti. Classe ’82, Sciuto è il figlio di Sebastiano, boss conosciuto con il nome Nuccio Coscia, di recente deceduto in seguito a una grave malattia. Secondo la procura, Sciuto sarebbe l’autore del tentato omicidio avvenuto il 28 agosto 2007 a Fiumefreddo di Sicilia. Quella sera, un gruppo si sarebbe mosso in via Marina per punire Mario Tornabene. L’uomo, responsabile del gruppo di Giarre dei Santapaola, era accusato di avere disatteso gli accordi con il boss in merito alla gestione degli interessi economici sulla costa ionica. L’agguato, tuttavia, non causò la morte della vittima, che riuscì a fuggire dalla struttura in cui si trovava.

Nel mirino degli investigatori c’è stato anche il giro di estorsioni che avrebbe riguardato il territorio, colpendo tanto le piccole attività commerciali quanto imprenditori più grandi. Non solo, dunque, episodi di cavallo di ritorno, ma vero e proprio pizzo. Su questo punto sono state fondamentali sia le dichiarazioni di Vinciguerra sia la collaborazione delle vittime. «Il contributo degli imprenditori è stato fondamentale. Dopo un principio di titubanza, si sono decisi a collaborare, anche perché gli investigatori avevano ricostruito già l’attività estorsiva – dichiara il colonnello dei carabinieri Piercarmine Sica -. A finire nella morsa del clan erano farmacie, tabacchi ma anche panifici. Ci sono estorsioni che affondano le radici a oltre dieci anni fa. Spesso – conclude il militare – a rialzare la testa sono state le seconde generazioni delle vittime».


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