I beni dell'ex reggente militare della famiglia di Cosa nostra sono passati sotto il controllo dello Stato. Nel provvedimento del tribunale del riesame emergono i dettagli dell'operazione portata avanti dalla Direzione investigativa antimafia di Catania
Mafia, la confisca milionaria a Benedetto Cocimano Al figlio disse: «Con la malavita non ci si arricchisce»
«Con la malavita non ci si arricchisce. Non si guadagna nulla». Parola che sanno di profezia quelle pronunciate da Orazio Benedetto Cocimano nel 2010. Otto anni dopo quella frase intercettata dalla polizia, resta la trascrizione nei documenti del tribunale misure di prevenzione, che ha disposto una confisca da due milioni di euro per l’uomo ritenuto uno dei reggenti dell’ala militare di Cosa nostra a Catania. Finito in manette per estorsione nel 2011, Cocimano tre anni dopo resta impigliato nell’operazione antimafia Ghost. A marzo 2017 una nuova condanna in primo grado all’ergastolo perché accusato di avere ucciso, nel 1996, Gino Ilardo, il boss dei misteri diventato confidente, capace di condurre le forze dell’ordine davanti il covo di Bernardo Provenzano. Per Cocimano l’ultimo capitolo della sua storia giudiziaria passa per la confisca e l’operazione portata a termine dalla Direzione investigativa antimafia etnea guidata dal primo dirigente Renato Panvino.
Il doppio volto dell’uomo della famiglia Santapaola-Ercolano, successore di Santo La Causa, sarebbe passato per alcune società attive nel settore delle costruzioni. «Le indagini – si legge nel provvedimento del tribunale – hanno consentito di accertare che le aziende erano solo formalmente intestate ad altri soggetti, in quanto almeno in parte facevano capo a Benedetto Cocimano». Così il boss avrebbe investito «una notevole quantità di denaro» in una serie di attività lecite. Soldi puliti che, almeno nelle intenzioni, gli avrebbero consentito di avviare nel settore dell’edilizia anche i due figli maschi. La Renault Clio di Cocimano diventa una piccola miniera di indizi, perché proprio all’interno dell’autovettura l’uomo ragiona su investimenti e prospettive per il futuro. In un’occasione cerca anche di tranquillizzare il figlio sulla possibilità di eventuali sequestri da parte delle autorità. «Esiste un tuo amico… che hanno queste cose tipo supermercati e le guardie non glieli hanno toccati? Tipo i loro figli…», dice il giovane al padre. Cocimano risponde senza giri di parole: «Se io mi devo fare un’attività lavorativa non lo devo dire a nessuno». Una strategia dell’inabissamento fatta di passaggi preliminari. Tant’è che durante le intercettazioni solo uno dei due figli sarebbe stato già attivo nell’edilizia. Per l’altro sarebbe arrivato il momento giusto: «Per adesso tu devi stare fermo. Non devi fare niente», gli ripeteva il padre.
Nel mirino degli inquirenti, come emerso anche durante l’inchiesta Ghost, sono finite quattro società, costituite tra il 2006 e il 2013. Un mix di scatole vuote, in cui si sarebbero alternati diversi prestanome, tutte con la stessa sede sociale. La stessa dove gli inquirenti monitorano la presenza del reggente dei Santapaola accompagnato dal figlio. Una ingerenza ritenuta pressoché totale, tanto che nel 2011 proprio Cocimano si sarebbe interessato anche della nomina del nuovo amministratore di una delle aziende. Gli affari, invece, avrebbero riguardato il restauro di una casa ad Aci Sant’Antonio, la realizzazione di alcune villette ad Aci Bonaccorsi e di un immobile a Siracusa. In mezzo ci sarebbe stato anche l’acquisto di un terreno per una somma di 90mila euro. «Anche se facciamo un lavoro all’anno significa che facciamo 200-250mila euro», spiegava. Le società riconducibili a Cocimano passano per una serie di sequestri preventivi, dissequestri e confische. L’ultimo atto, quello del tribunale misure di prevenzione, ha invece stabilito di rigettare la proposta di fare passare le quote di due aziende sotto il controllo dello Stato.
«In evidente diseconomicità in quanto la restituzione è priva di qualsiasi pericolosità poste che le due società venivano costituite solo al fine dige stire l’attività d’impresa nei cantieri e di volta in volta svuotate», scrivono i giudici nel decreto. Per i togati C.L Costruzioni e M.A.E costruzioni, con la prima in liquidazione, sarebbero sostanzialmente aziende vuote e prive di qualsiasi valore. Così come alcune autovetture e ciclomotori «mezzi vetusti e in pessima condizioni d’uso». Già definitiva attraverso il processo penale, invece, la confisca della Pml costruzioni e della Alco costruzioni. La confisca viene invece disposta per tre immobili ad Aci Sant’Antonio, tre garage che si trovano sempre nel Comune etneo e un conto corrente attivato in un ufficio postale dalla moglie di Cocimano nel 2014.